Category Archives: provocazioni

quando l’allarmismo su Instagram può essere utile agli utenti

Twitter ci potrà censurare?
Google ci potrà spiare?
Facebook ci potrà schedare?
Instagram potrà vendere le nostre foto?
Ad ogni cambio di TOS (i Termini di Servizio) dei più popolari social network si diffondono tra la gente timori sulla privacy e sui propri dati, soprattutto in Italia.
Il motivo per cui proprio in Italia siamo ossessionati dalla privacy su Internet e non allo stesso modo con altre modalità (banche, carte di credito, anyone?) meriterebbe un capitolo a parte, il bello è che questi timori sono tutti fondati.
Ebbene sì, siamo potenzialmente controllati, spiati, schedati ma non grazie all’ultimo aggiornamento dei TOS bensì fin dal primo momento in cui ci iscriviamo ad un social network e iniziamo ad inserire o creare contenuti.
Sono i Social Media, bellezza! si potrebbe dire.
O meglio, è la società digitalizzata in cui viviamo e dalla quale non si torna indietro.
Non basta dire che se non stai pagando il prodotto allora il prodotto sei tu, c’è dell’altro. Continue reading

cose da non fare per informarsi sulla salute di Fidel Castro

1) Prendere per buone le informazioni di pubblicisti anticastirsti residenti a Miami.
Ma perché un anticastrista che vive a Miami dovrebbe essere la fonte ufficiale da cui determinare la salute di Fidel Castro?
È come chiedere informazioni sulla salute del Papa a una setta satanica.
Alberto Muller dice che Castro sta male da molti anni (in realtà è risorto per incontrare Benedetto XVI a marzo), è in morte cerebrale e tutto il mondo riprende il suo post come se fosse un lancio Reuters.
Siamo d’accordo che è difficile avere notizie dall’interno di un regime ma servirà qualche altra verifica?
Per esempio dagli inviati a Cuba.

2) Prendere per buone le informazioni di siti web antiregime.
Il sito web Neo Club Press, contrario al regime cubano, dice che ha degli informatori anonimi all’interno di un Ministero cubano che confermano la morte cerebrale.
Voci di informatori anonimi di un anonimo Ministero non è quello che definirei un indizio definitivo.
Forse è più affidabile un esperto di Cuba che possa interpretare i piccoli segnali nel Paese.
Se muore Fidel Castro non si mettono di certo a scrivere un comunicato stampa da far girare per i palazzi governativi.
Quando morì Andropov in URSS milioni di russi, e dirigenti del partito, ignorarono la sua dipartita per ben 6 mesi.

3) Telefonare a Yoani Sanchez.

Ora, con tutta la simpatia per la blogger rimpatriata dalla Svizzera che non è l’unica dissidente esistente a Cuba, se Fidel Castro fosse morto credo che lei sarebbe l’ultima persona al mondo a cui lo andrebbero a dire.

Insomma tutto questo assomiglia sempre più a un gioco delle freccette con le breaking news, nella speranza di fare probabilisticamente centro invece che tentare di fornire buona informazione.
Un gioco in cui, se va male, naturalmente si dà la colpa al web, alla Rete, a Twitter.

l’informazione divertente funziona meglio di quella seriosa?

Secondo una ricerca della Farleigh Dickinson University negli USA gli spettatori di Fox News sono portati ad essere meno informati persino di chi non si informa del tutto.
Se non l’avete presente, Fox News, del gruppo News Corp. di Murdoch, è un canale all-news americano decisamente fazioso a favore dei Repubblicani e dei conservatori.
Sono quelli che ogni tanto mostrano “involontariamente” mappe in cui l’Egitto confina con l’Iran o in cui Sydney si trova nel nord dell’Australia.
Non meraviglia quindi che, secondo la ricerca, il 20% dei suoi spettatori pensi che il regime siriano sia già caduto per mano della protesta o che il 24% ritenga che il regime di Mubarak sia ancora in piedi, non male per un canale di news!
Probabilmente neanche in Italia riusciremmo a digerire un canale del genere. Continue reading

FAQ su Twitter per ‘star’ intraprendenti

In queste ore sembra che molti protagonisti dello showbiz italiano (soprattutto tv) si stiano iscrivendo a Twitter personalmente, fake a parte.
Sarà l’effetto Fiorello #ilpiugrandespettacolodopoilweekend, saranno le agenzie di comunicazione o i consigli di qualche altro amico famoso ma stiamo ritrovando facce da massmedia a tiro di tweet.
Molti storceranno il naso ma credo sia una cosa tutto sommato positiva per la twittosfera italiana, ancora relativamente piccola, anche se oggetto misterioso preferito dalle testate giornalistiche, che porterà forse più confusione ma probabilmente varietà di argomenti e meno polarizzazione: è il “mondo reale” baby, direbbe qualcuno.
Sono state proprio le star, e i dettagli sulla loro vita con tanto di foto, che hanno dato una spinta determinante a Twitter negli USA, trasformandosi poi lì nello strumento di news diffuse che conosciamo. Continue reading

senza trasparenza non c‚Äôè democrazia: il contributo di wikileaks

Prendo lo spunto da un mio intervento a Radio Versilia di qualche giorno fa per fare una riflessione più generale su Wikileaks.
È indubbio che il #cablegate sia un attacco al sistema ma la domanda che dovremmo farci non è da chi (e perché) provenga questo attacco ma cosa sia diventato questo sistema oggi.
Concentrarsi su Assange, su chi sia veramente, da dove provenga, chi l’abbia manovrato, è nel migliore dei casi ingenuo complottismo e nel peggiore completamente inutile.
I dispacci della diplomazia USA sono lì, visibili da tutti, e quotidiani importanti (parliamo del New York Times, del Guardian, di El Pais, di Le Monde) ben al corrente del contesto ci hanno costruito sopra storie rilevanti, mettendo in gioco la loro credibilità.
E, cosa più importante, ci avrete fatto caso: su 250.000 nessun cablogramma è stato smentito dal Dipartimento di Stato. Continue reading

l’iPadizzazione del personal computer, il passaggio storico di Apple

Steve Jobs ha annunciato ieri, nell’evento Back to Mac, quello che sembrava inevitabile: i personal computer Apple del futuro assomiglieranno molto all’iPad.
Accensione istantanea, tempi di risposta brevissimi, basta con i vecchi lettori cd-dvd e hard disk delicati, rumorosi, bollenti, basta sistemi operativi incomprensibili, complessi, basta con costose CPU che poi vengono sfruttate pochissimo, basta con strane procedure di installazione, disinstallazione, manutenzione del software, basta con tutta la roba da “tecnici”.
Suona davvero promettente, soprattutto per un mercato come l’Italia in cui la cultura digitale è ancora molto indietro.
Dal punto di vista del business grazie al nuovo App Store per Mac nascerà un vero marketplace in cui è possibile monetizzare, anche dal basso, molte idee che prima rimanevano sulle nuvole.
Dal punto di vista degli utenti sarà possibile acquistare piccoli software utili invece di dover investire soldi per grandi “suite” ¬†che poi vengono usate poco o nulla: la strada verso i micropagamenti si apre sempre più. Continue reading

un check-in su Foursquare per la causa del wi-fi libero in Italia

Il decreto Pisanu è una legge del 2005 che rende estremamente farraginoso per un locale pubblico in Italia offrire ai cittadini una connessione wi-fi, senza fili, a Internet: dalla licenza rilasciata dal questore, alla copia cartacea di ogni documento di identità, alla conservazione di tutti i dati di navigazione per 6 mesi (da parte dell’esercente, non del fornitore del servizio!) e così via.
La motivazione è per contrastare il terrorismo anche se non esiste nessun dato fino ad oggi dell’efficacia di questa misura, né appare tra le azioni di prevenzione usate negli altri paesi stranieri.
Al contrario nel resto d’Europa il numero di zone ad accesso wi-fi offerte alla popolazione¬†è cinque volte superiore all’Italia, dove ancora spadroneggiano le connessioni a “banda larga” (se possiamo definirle così) col doppino in rame e quelle 3G delle potenti telco.
Il decreto deve essere rinnovato alla fine di ogni anno e periodicamente si discute (in realtà si dicono sempre tutti contrari) se rinnovare o meno questa legge che sta penalizzando lo sviluppo di Internet in Italia, si fanno dibattiti, si aprono petizioni nella speranza di divulgare il più possibile la consapevolezza di questa situazione.

Ho pensato a un modo creativo di diffondere questo tema usando Foursquare, la nota piattaforma di geolocalizzazione che sta iniziando a prendere piede anche in Italia. Continue reading

perché il Premio Nobel per la Pace non serve a Internet ma ai Liu Xiaobo

Alcuni si saranno accorti che da 10 mesi la versione italiana del magazine Wired sta sostenendo una campagna (firmata Ogilvy) per l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Internet, che avverrà l’8 ottobre (domani).
Forti del fatto che il premio, del valore circa di 1,5 mln di euro, è stato già assegnato in passato a un’entità (anche se giuridica) invece che a una persona, la rivista guidata da Riccardo Luna, edita da Condé Nast (uno degli editori più grandi del mondo), sta spendendo la propria credibilità e quella degli appassionati della Rete per sensibilizzare politici, personaggi famosi e giornalisti sulla bontà di questa idea.

Mi sembra poco utile approfondire il discorso su cosa rappresenti Internet per l’umanità e se sia un mezzo intrinsecamente buono o cattivo o se sia solo un mezzo, e come tale neutro.
È più interessante invece allargare l’orizzonte e cercare di capire ciò di cui si sta veramente parlando.
Il Premio Nobel per la Pace è uno dei riconoscimenti simbolici più importanti dell’umanità, viene conferito a persone che si sono impegnate attivamente a favore della pace.
Tra i premiati ci sono Madre Teresa di Calcutta, l’attuale Dalai Lama, Nelson Mandela, Martin Luther King, Rigoberta Mench??, Aung San Suu Kyi, Gorbaciov, Desdmond Tutu, Lech Walesa. Continue reading

il Corriere che sarà: il nuovo giornalismo passa solo dai giornalisti o anche dagli editori?

In questi giorni i giornalisti del più autorevole quotidiano italiano, il Corriere della Sera, sono in sciopero sia su carta che online.
Motivo del contendere uno scontro col direttore Ferruccio De Bortoli che in una brillante lettera (che vi consiglio caldamente di leggere) gli chiede di abbandonare vecchi privilegi sindacali, essere più flessibili e orientati a Internet.
Scritta in un modo magistrale, sembra un inno alla rivoluzione digitale nel giornalismo (e forse lo è) ma lascia qualche dubbio.
Oggi quasi tutti gestiscono la versione online di un quotidiano con una redazione a parte, che ha dei ritmi elevatissimi, molto diversi dagli altri settori, dove si riesce invece a coltivare l’approfondimento.
Questo distacco esiste da sempre (addirittura per le versioni digitali iPad o iPhone i giornalisti del Corriere su carta si rifiutano di scrivere) ed è indubbiamente un freno all’evoluzione del giornalismo nelle grandi redazioni.
De Bortoli vuole che questo muro cada, che la velocità aumenti per tutti, che nessuno sia più inamovibile e che si possano affrontare molti progetti “multimediali”.
Già in molte redazioni straniere Internet è l’acqua di cottura comune ma cosa succede quando è l’editore a imporre arbitrariamente questo e non è frutto di un mutamento culturale e professionale?
Ha senso chiedere adesso, e così, a giornalisti d’esperienza di aumentare i ritmi, rinunciare a un percorso, aumentare la durata dell’impegno e scrivere in aggiunta per tutte le nuove iniziative “multimediali”?
Chi decide quale sarà e a cosa servirà la redazione del futuro?
Non è la paura del nuovo o la pigrizia verso le nuove tecnologie, di cui spesso io stesso accuso i vecchi giornalisti, manca qualcosa. Continue reading

i video-messaggi su internet sono uguali alla TV o permettono la replica?

Dopo la febbre del video-messaggio di Fini su Internet i giornalisti tradizionali iniziano a porsi delle domande.
Filippo Ceccarelli su Repubblica si chiede se non sia una comunicazione unilaterale, comoda, priva di interruzioni e di repliche.
Associa il video di Fini a quello di Berlusconi nella stessa giornata e paragona il tutto all’inizio della videocrazia nel 1994.
L’aspetto divertente è che lo fa scrivendo da una pagina web in cui la gente (quelli che erano “i lettori”) può interagire, lasciare commenti e consigliare l’articolo ai propri amici su Facebook (già in 261 lo hanno fatto).
Come si coniuga, invece, questa voglia matta di interruzioni e di domande scomode da parte dei giornalisti tradizionali con le interviste in TV che si trasformano in veri e propri comizi solitari e le conferenze stampa che molto spesso finiscono con gli applausi (ripeto: gli applausi) della stampa presente?

Il video ufficiale di Fini su YouTube (quello pubblicato dalla redazione d Libertiamo.it) a poche ore dalla pubblicazione raccoglie già 480 commenti.
Vi immaginate un giornalista che fa 480 domande o osservazioni a un politico? In Italia non si è mai visto.
In realtà il video è stato ripreso e pubblicato da centinaia di siti, ognuno con i loro commenti, dai TG nazionali, dai siti dei quotidiani stranieri con i commenti nelle relative lingue. Continue reading