il Corriere che sarà: il nuovo giornalismo passa solo dai giornalisti o anche dagli editori?

In questi giorni i giornalisti del più autorevole quotidiano italiano, il Corriere della Sera, sono in sciopero sia su carta che online.
Motivo del contendere uno scontro col direttore Ferruccio De Bortoli che in una brillante lettera (che vi consiglio caldamente di leggere) gli chiede di abbandonare vecchi privilegi sindacali, essere più flessibili e orientati a Internet.
Scritta in un modo magistrale, sembra un inno alla rivoluzione digitale nel giornalismo (e forse lo è) ma lascia qualche dubbio.
Oggi quasi tutti gestiscono la versione online di un quotidiano con una redazione a parte, che ha dei ritmi elevatissimi, molto diversi dagli altri settori, dove si riesce invece a coltivare l’approfondimento.
Questo distacco esiste da sempre (addirittura per le versioni digitali iPad o iPhone i giornalisti del Corriere su carta si rifiutano di scrivere) ed è indubbiamente un freno all’evoluzione del giornalismo nelle grandi redazioni.
De Bortoli vuole che questo muro cada, che la velocità aumenti per tutti, che nessuno sia più inamovibile e che si possano affrontare molti progetti “multimediali”.
Già in molte redazioni straniere Internet è l’acqua di cottura comune ma cosa succede quando è l’editore a imporre arbitrariamente questo e non è frutto di un mutamento culturale e professionale?
Ha senso chiedere adesso, e così, a giornalisti d’esperienza di aumentare i ritmi, rinunciare a un percorso, aumentare la durata dell’impegno e scrivere in aggiunta per tutte le nuove iniziative “multimediali”?
Chi decide quale sarà e a cosa servirà la redazione del futuro?
Non è la paura del nuovo o la pigrizia verso le nuove tecnologie, di cui spesso io stesso accuso i vecchi giornalisti, manca qualcosa.

Quello che manca è un progetto sul futuro.
Cosa vuole fare il Corriere?
Vuole diventare un blog? (e allora si procuri centinaia di ragazzi appassionati, che scrivono anche giorno e notte)
Vuole trasformarsi in qualcosa di simile all’Huffington Post? (e allora gli serve una piattaforma impeccabile a cui tutto dovrà essere orientato, la redazione diventa la piattaforma)
Vuole fare una web-tv? (e allora si attrezzi adeguatamente)
Vuole fare giornalismo di approfondimento? (e allora gli servono professionisti d’esperienza, piacevoli da leggere, che non hanno bisogno di pubblicare in tempo reale)

“Multimediale” (citato più volte nella lettera) oggi non significa nulla, un quotidiano non può più fare tutto come una volta, non è più il collettore delle informazioni, oggi è solo un pezzo e deve decidere quale.
I quotidiani saranno ancora la cima della catena alimentare dell’informazione del futuro, li vedo continuare ad accrescere la loro autorevolezza con analisi e approfondimenti, non con inserti “multimediali” o video bizzarri.
Questo potrebbe significare un ridimensionamento (non un crollo), potrebbe significare iniziare a lasciare fette della torta a nuovi entranti ma è proprio questa la rivoluzione digitale di cui si parla.
Tutto dentro il Corriere (così come nei grandi quotidiani) non c’entra.
Dare una mano ai giovani non è solo farli entrare in redazione ma lasciare spazio all’esterno a chi quelle cose le vuole fare davvero e le fa meglio.

Ma per realizzare questo c’è bisogno che l’editore, ogni editore, abbia una visione ben chiara del futuro e una strategia.
Ricominciare a fare giornalismo, con nuove modalità, non è un compito solo dei giornalisti.


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