Questo articolo è stato pubblicato in Niente di personale su l’Unità online il 23 aprile 2013 con il titolo “Twitter senza Twitter”.
MONTECITORIO ORA! twitter.com/PIEROFATICONI/…
— @SANGIOVANNIBATTISTA (@PIEROFATICONI) 20 aprile 2013
Le riflessioni su Twitter e politica sono giunte a un momento culminante in questi giorni: Twitter (scambiato di volta in volta con la Rete, i Social Media e così via) ha condizionato l’elezione del Presidente della Repubblica?
Dopo il sostegno di molti gruppi online per Rodotà, dopo la chiamata su Internet a manifestare a Montecitorio, dopo l’occupazione di alcune sedi PD con l’hashtag #occupyPD, dopo la richiesta di Bersani ai suoi Grandi Elettori di tenere spenti smartphone e iPad nei momenti decisivi la questione è approdata al grande pubblico in maniera scomposta.
Questo dubbio rappresenta in maniera efficace quanto in fretta abbia bisogno di cambiamento questo Paese.
Dalla riflessione intelligente di Luca Sofri a quella, un po’ barcollante di Cesare Martinetti su La Stampa (i social network disturbano la democrazia? la Rete è un mezzo che impone la rapidità? politici sempre più vulnerabili alle ondate della Rete?), fino a Nicola Porro su Il Giornale che parla addirittura di dittatura della Rete dimenticando, ahimé, che non è stato mai eletto il suo ipotetico beniamino: Rodotà.
Insomma è colpa dell’età giovane dei neoparlamentari; anzi no è la Rete, questa astratta proterva minoranza nel Paese, che pretende di influenzare il Parlamento: tutto surreale.
Surreale quasi quanto il fatto che i critici più accesi in realtà non usino né conoscano Twitter.
Eppure questi discorsi tendono a formare nell’opinione pubblica più lontana da Internet (in Italia sono ancora tanti, troppi, è un limite) un’idea distorta di Twitter.
C’è un esempio a portata di mano che rende l’idea di cosa rappresenti Twitter oggi.
Il Foglio pubblica provocatoriamente lo scambio di SMS tra Christian Rocca, giornalista che da sempre scrive anche su blog e conosce i Social Media, e Giuliano Ferrara, senza dubbio non tenero nei confronti della Rete e dei processi politici in atto.
Gli SMS sono stati scritti tra mezzogiorno e le 13,30 di domenica durante la conferenza stampa di Grillo a Roma, la prima del leader M5S dall’inizio dell’impegno elettorale.
Al di là del merito, di cui non voglio occuparmi qui, lo scambio di messaggi è agile e veloce (e in poco più di 140 caratteri, anche se oggi gli SMS possono essere concatenati e raggiungere lunghezze rispettabili).
A un certo punto Ferrara sente l’esigenza di rendere pubblico quello scambio privato e chiede il permesso all’interlocutore.
Quindi una conversazione informale e privata, ancorché mediata tecnologicamente, diventa un fatto pubblico, può essere letta da altri, commentata, discussa.
Non è interessante il motivo di questa esigenza (riflessione politica? provocazione? narcisismo?) ma il fatto che esista: è un’esigenza di comunicazione.
Ecco Twitter è proprio questo, è il passaggio nella sfera pubblica di pensieri marginali che in un’altra epoca sarebbero rimasti nascosti, è la realizzazione di questa esigenza fino ad oggi celata.
Per fare un esempio nella vita quotidiana, è come se potessimo raccogliere tutte le battute mai fatte davanti a una tazza di caffé al bar.
Chi cerca di minimizzare Twitter parlando di volta in volta di narcisismo, patologia, opinionismo ecc. non ha torto (così come al bar se ne sparano di ogni tipo) ma sottovaluta enormemente l’effetto su tutto il resto dell’affiorare di un fenomeno del genere, un effetto che è già in atto ed è irreversibile.
L’emergere di questa nuova esigenza modifica la sfera pubblica stessa, la rimodella e attiva (per quanto incredibile possa sembrare) nuovi tipi di conoscenza, di relazione, di informazione collettiva.
E non è neanche necessario Twitter (la piattaforma online) per realizzare Twitter, come in questo caso.
Quindi dire che Twitter influenza i politici è una tautologia: certo che li influenza, come mille altre situazioni nella vita, e come influenza gli ingegneri e i fiorai.
Ma dire in quale misura, oltre ad avere poco senso, non è possibile perché non abbiamo ancora un modello di comprensione valido e abbastanza dati e forse non li avremo mai.
Per sempre più gente oggi Twitter (o la Rete, i Social Media) è un nuovo elemento culturale: è lì, ha il suo ruolo ma certamente non ipnotizza nessuno per fargli fare ciò che non vorrebbe.
Al contrario, in politica, rappresenta un fattore (minimo) di trasparenza e di controllo da parte dei cittadini.
Perciò bisogna smetterla di rappresentarlo come un “mezzo”, come un telefono, un telegrafo, uno strumento che possiamo decidere se usare o no, spento o acceso.
Non è così, Twitter (e la Rete) esiste e fa parte del mondo intorno a noi a prescindere dalla nostra volontà, anche se non lo usiamo o non lo conosciamo o viviamo da eremiti.
È per questo che non ci si può più permettere, da parte di chi si occupa di comunicazione o di informazione, di ignorare cosa sta accadendo culturalmente o addirittura tentare di sabotare questi fenomeni.
Per chi ha tempo di approfondire consiglio:
– esempio negativo: Aldo Cazzullo fa la diretta per il Corriere dal Parlamento per l’elezione del Presidente della Repubblica via SMS. Perché non via Twitter? Sarebbe trasparente e pubblico, perché si cerca di evitare di contribuire a un interesse collettivo?
Ma subito dopo Cazzullo scrive sul Corriere della Sera un editoriale sui “nuovi politici in balia di un tweet” (che curiosamente non viene pubblicato online): che credibilità ha? a chi sta parlando? su questo tema cruciale esiste un giornalismo a due velocità?
– Giovanni Boccia Artieri: Twitter non sceglie il Quirinale. La generazione dei neo-eletti e la vigilanza civica.
– Massimo Mantellini: Tre argomenti contro.
– Fabio Chiusi: Twitter, il Colle e i tecnoschiavi.
– Giuseppe Granieri: Chi ha paura di Twitter?