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il citizen journalist che fa bene all’editoria è quello credibile

Questo articolo è stato pubblicato in Niente di personale su l’Unità online il 20 novembre 2012 con il titolo “il citizen journalist da Gaza che si fa pagare in beneficenza”

La guerra a Gaza da una settimana ha già fatto più di centoventi morti tra i palestinesi e una decina tra gli israeliani.
In una situazione del genere fare informazione non è semplice, l’accesso dall’esterno è complicato, il lavoro degli inviati già presenti deve essere cauto per i bombardamenti.
È uno di quei casi in cui il lavoro del citizen journalist può aiutare, completare, arricchire l’informazione come accadde con le rivolte in Iran nel 2009.
Quando i movimenti sono limitati e i mezzi tecnici incerti il giornalismo dal basso può offrire un contributo attivo più importante, al di là del punto di vista, rispetto alle situazioni in cui l’accesso alle informazioni è universale e quindi la propaganda, di ogni segno, è più forte.
È il punto di vista che informa, nonostante tutto, e che si sta rivelando prezioso anche in questo caso a Gaza.

Tra i tanti attivisti sul campo che stanno raccontando la vita e la morte a Gaza sotto i bombardamenti uno dei più popolari è l’inglese Harry Fear, documentarista e attivista che si trova attualmente nella Striscia di Gaza.
Harry cura da maggio 2012 il progetto GazaReport.com per documentare “gli abusi di Israele sui palestinesi e la realtà di Gaza” e ha raccolto velocemente online 3500$ (più di quanti ne chiedesse) per coprire le spese, tornare lì dall’inizio di questo mese per fare volontariato e documentare la situazione.
Send me back, chiedeva, e molti follower gli hanno creduto soprattutto perché nel suo primo viaggio in giugno aveva già prodotto ben 8 mini-documentari, uniche testimonianze in inglese nel periodo successivo ai raid dei droni israeliani, mentre si pagava le spese lavorando come insegnante d’inglese.
Un esempio di credibilità, invece che di audacia e autopromozione, che ha ulteriormente ripagato i suoi lettori.
Proprio nel mezzo del suo viaggio si acuisce la crisi a Gaza ed Harry diventa un punto di riferimento per le notizie dalla Striscia.
Aggiorna costantemente su TwitterFacebook, mette su un canale su Livestream in cui fa frequenti dirette video (toccante quella di oggi in cui elenca tutti i morti palestinesi per nome ed età) che raccoglie in due giorni 47.000 Like e 20.000 tweet con più di 400.000 visualizzazioni.
Finché anche i canali broadcast se ne accorgono, Russia Today (canale all-news in inglese, vicino al governo russo) gli chiede di ingaggiarlo ed Harry fa una cosa saggia: chiede ai suoi follower (in particolare palestinesi) su Twitter e su Facebook (con un sondaggio) cosa fare.

 

La risposta è ampiamente positiva:

 

Ed eccolo far parte del programma CrossTalk, a cui aveva già partecipato, per portare il punto di vista della gente di Gaza.

È il futuro del giornalismo?
No, nonostante i timori l’informazione non si ridurrà ad essere poco più che volontariato e non sarà dominata dai punti di vista divergenti degli attivisti che, in un modo o nell’altro, se lo potranno permettere.
Oggi abbiamo, però, delle interessanti testimonianze che fino a qualche anno fa sarebbero state impossibili e che i giornalisti devono saper selezionare, valutare, dominare, usare, valorizzare, prendendosene la responsabilità come nuovo compito.
Non basta prendere qualcuno che ha racimolato decine di migliaia di follower, fargli fare qualcosa che suona alla moda e sperare che vada tutto bene.
I cambiamenti importanti di cui siamo testimoni rendono necessario aggiungere alla cassetta degli attrezzi di chi fa informazione uno strumento fondamentale: la credibilità.
Non è più l’emanazione diretta dell’autorevolezza giornalistica di vecchia data ma una condizione attiva e valutabile continuamente.
I lettori oggi controllano, ricordano, verificano, spesso gli stessi lettori sono autori altrove, i ruoli si scambiano e bisogna saper mantenere il valore di quello che si fa, perché non è più ovvio per nessuno.
È quello che Harry riesce a fare e su cui, poi, un broadcast può costruire informazione.

I singoli punti di vista informativi dei citizen journalist sono degli elementi che possono essere preziosi e vanno considerati ma per diventare giornalismo devono essere, oggi ancor di più, selezionati ed elaborati da un editore in modo da continuare ad avere un senso ed un contesto.
Proprio come ha fatto Russia Today con Harry Fear.
Questo è il modo in cui si dovrebbe evolvere l’editore tradizionale per contribuire a rendere il giornalismo ancora un business utile e sostenibile in futuro.