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la politica 2.0 è il ritorno alla politica con la gente

Questo articolo è stato pubblicato in Niente di personale su l’Unità online il 6 dicembre 2012 con il titolo “la politica 2.0 è il ritorno alla politica con la gente”

Il passaggio in Italia di Michael Slaby, Chief Integration & Innovation Officer della vittoriosa campagna Obama for America, sta fornendo lo spunto per una riflessione collettiva su consenso e tecnologia.
Senza dubbio i risultati di Obama rappresentano lo stato dell’arte per noi italiani (e non solo) e ci affascina il modo in cui viene usata la tecnologia per le campagne elettorali.
Questo, però, rischia spesso di portarci fuori strada e di farci concentrare troppo sugli strumenti più che sulle motivazioni alla loro base.
Probabilmente la grande importanza del canale televisivo in Italia, esaltato a destra e temuto a sinistra , ancora ci influenza fortemente ancorandoci a una realtà immaginaria in cui esistono solo strumenti con efficacia istantanea sul pubblico al servizio di una missione (post)ideologica indiscutibile e in cui, quindi, è determinante solo il modo, la tecnica e la tattica.
Ebbene questa realtà non esiste più neanche in Italia, ce lo sta mostrando Slaby stesso in questi giorni, la rivoluzione digitale ha cambiato le carte in tavola.
Non esiste più una comunicazione differenziata per canale, Internet non è semplicemente “un nuovo canale” o “un nuovo media”, oggi tutte le modalità di comunicazione sono integrate e ibride.
Basterebbe osservare quanto la stessa TV, la regina dei media, sta cambiando radicalmente col fenomeno della Social-TV online. Continue reading

so the revolution was both tweeted and televised: l’attivismo digitale

La presentazione ignite di mercoledì scorso sull’attivismo digitale ha generato diverse discussioni, in particolare sulle critiche al ruolo dei Social Media nei movimenti di insurrezione (soprattutto in riferimento a Malcom Gladwell) che evidentemente vengono considerate una coperta accettabile da molti.
Troppo corta, però.
Neanche due giorni dopo è arrivata la Storia a spostare il discorso un passo avanti: le dimissioni di Mubarak, l’Egitto in festa, l’obiettivo raggiunto dal movimento e probabilmente l’inizio di una nuova fase in medioriente.

A call to all well-educated Egyptians around the world. Come back ASAP to build our nation. #Jan25
@Ghonim
Wael Ghonim

Una breve premessa sul titolo.
“The revolution will not be televised” (la rivoluzione non sarà in televisione) è un famoso brano di Gil Scott-Heron del 1970, considerato uno dei migliori di argomento politico, in cui si onora tra l’altro un attivismo lontano dai mass-media e dalla pubblicità.
Questo titolo suggestivo è stato in seguito riutilizzato molte volte per documentari o libri, non sempre nella stessa accezione politica bensì in quella di “media alternativi” ai mass-media dominanti.
In particolare negli ultimi anni lo si è usato identificando l’alternativa con Internet.
A metà del 2009 si è iniziato a parodiare il titolo, prima durante le rivolte in Moldova e poi con le lunghe e violente manifestazioni in Iran, in:

“The revolution will be tweeted”

Il riferimento quindi è ai Social Media e in particolare Twitter. Continue reading

attivismo digitale: una presentazione ignite

Dopo aver passato in rassegna negli ultimi mesi le teorie più diverse sul ruolo dei Social Media nei movimenti politici e di ribellione nel mondo, dalla Tunisia all’Egitto, fin dall’Iran passando dalla vicenda dell’attentato a Gabrielle Giffords, che non riguarda un movimento ma ha mostrato meccanismi interessanti nel rapporto tra giornalismo online e tradizionale, era inevitabile iniziare scriverci qualcosa di specifico.
Quella era la mia intenzione ma nel frattempo ho avuto l’occasione di sintetizzare i pensieri e gli appunti, che sto raccogliendo, in una presentazione ignite svoltasi a Roma ieri sera (9 febbraio 2011) alla libreria Bibli.
Una location molto adatta e una serata davvero piacevole con interventi assai interessanti, grazie agli organizzatori!

Ci sarà un video ma intanto ecco le slide dell’intervento:

abrogata la Pisanu, il wi-fi è libero (con qualche dubbio). per ora.

Dopo mille peripezie il governo ha abrogato l’art.7 (o meglio i commi 4 e 5) del decreto Pisanu mantenendo solo l’obbligo di richiedere la licenza al Questore per gli esercizi pubblici che forniscono connettività internet come attività principale (in pratica gli internet point).
Quindi dal 1 gennaio 2011 gli esercizi pubblici (bar, ristoranti, alberghi ecc.) potranno offrire connettività wi-fi (e via cavo) senza complicate procedure burocratiche per loro e per gli utenti (per es. l’archiviazione della fotocopia del documento di identità di chiunque acceda).

C’è da notare che un esperto autorevole come Stefano Quintarelli segnala che se questi esercizi pubblici offrissero wi-fi ricadrebbero comunque sotto la definizione di operatori di telecomunicazione e quindi sottoposti ad obblighi comunque onerosi, uno su tutti: bloccare tramite DNS i siti sanzionati dall’Autorità Giudiziaria (o anche dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e dal Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedo-Pornografia).
Questo perché l’AGCOM avrebbe chiarito che sarebbe escluso dalla definizione di operatori di telecomunicazione l’esercente¬†che

“non avendo come oggetto sociale principale l‚Äô attività di telecomunicazioni, mette a disposizione della propria clientela le apparecchiature terminali di rete”

In poche parole se metti PC disponibili al pubblico nessun problema, se metti a disposizione una porta di accesso (cioè un access point wi-fi) sei un operatore di rete. Continue reading

un check-in su Foursquare per la causa del wi-fi libero in Italia

Il decreto Pisanu è una legge del 2005 che rende estremamente farraginoso per un locale pubblico in Italia offrire ai cittadini una connessione wi-fi, senza fili, a Internet: dalla licenza rilasciata dal questore, alla copia cartacea di ogni documento di identità, alla conservazione di tutti i dati di navigazione per 6 mesi (da parte dell’esercente, non del fornitore del servizio!) e così via.
La motivazione è per contrastare il terrorismo anche se non esiste nessun dato fino ad oggi dell’efficacia di questa misura, né appare tra le azioni di prevenzione usate negli altri paesi stranieri.
Al contrario nel resto d’Europa il numero di zone ad accesso wi-fi offerte alla popolazione¬†è cinque volte superiore all’Italia, dove ancora spadroneggiano le connessioni a “banda larga” (se possiamo definirle così) col doppino in rame e quelle 3G delle potenti telco.
Il decreto deve essere rinnovato alla fine di ogni anno e periodicamente si discute (in realtà si dicono sempre tutti contrari) se rinnovare o meno questa legge che sta penalizzando lo sviluppo di Internet in Italia, si fanno dibattiti, si aprono petizioni nella speranza di divulgare il più possibile la consapevolezza di questa situazione.

Ho pensato a un modo creativo di diffondere questo tema usando Foursquare, la nota piattaforma di geolocalizzazione che sta iniziando a prendere piede anche in Italia. Continue reading

perché il Premio Nobel per la Pace non serve a Internet ma ai Liu Xiaobo

Alcuni si saranno accorti che da 10 mesi la versione italiana del magazine Wired sta sostenendo una campagna (firmata Ogilvy) per l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Internet, che avverrà l’8 ottobre (domani).
Forti del fatto che il premio, del valore circa di 1,5 mln di euro, è stato già assegnato in passato a un’entità (anche se giuridica) invece che a una persona, la rivista guidata da Riccardo Luna, edita da Condé Nast (uno degli editori più grandi del mondo), sta spendendo la propria credibilità e quella degli appassionati della Rete per sensibilizzare politici, personaggi famosi e giornalisti sulla bontà di questa idea.

Mi sembra poco utile approfondire il discorso su cosa rappresenti Internet per l’umanità e se sia un mezzo intrinsecamente buono o cattivo o se sia solo un mezzo, e come tale neutro.
È più interessante invece allargare l’orizzonte e cercare di capire ciò di cui si sta veramente parlando.
Il Premio Nobel per la Pace è uno dei riconoscimenti simbolici più importanti dell’umanità, viene conferito a persone che si sono impegnate attivamente a favore della pace.
Tra i premiati ci sono Madre Teresa di Calcutta, l’attuale Dalai Lama, Nelson Mandela, Martin Luther King, Rigoberta Mench??, Aung San Suu Kyi, Gorbaciov, Desdmond Tutu, Lech Walesa. Continue reading

secondo la Cassazione Internet non è la carta, servono regole diverse

Una sentenza della Corte stabilisce che il gestore di un blog o il direttore di un giornale online o un hosting provider non possono essere responsabili di “omesso controllo” in caso di contenuti diffamatori, come previsto dall’art 57 c.p. per la stampa cartacea (a meno che non ne siano già al corrente).
Si chiude quindi per il momento anche in Italia l’annosa vicenda che vedeva la comunicazione online a continuo rischio di censura soprattutto a causa dei caratteristici commenti e delle interazioni dei lettori (pardon, amici).
Infatti con la presunta ed erronea equiparazione tra carta e web qualsiasi commento diffamatorio sfuggito al controllo del gestore o anche presente per un periodo limitato di tempo prima di essere cancellato (ma adeguatamente registrato) poteva portare a conseguenze penali.
Questo comportava una forma di abuso abbastanza diffuso: per colpire qualcuno bastava inserire artificiosamente e “anonimamente” un commento diffamatorio. Continue reading

i video-messaggi su internet sono uguali alla TV o permettono la replica?

Dopo la febbre del video-messaggio di Fini su Internet i giornalisti tradizionali iniziano a porsi delle domande.
Filippo Ceccarelli su Repubblica si chiede se non sia una comunicazione unilaterale, comoda, priva di interruzioni e di repliche.
Associa il video di Fini a quello di Berlusconi nella stessa giornata e paragona il tutto all’inizio della videocrazia nel 1994.
L’aspetto divertente è che lo fa scrivendo da una pagina web in cui la gente (quelli che erano “i lettori”) può interagire, lasciare commenti e consigliare l’articolo ai propri amici su Facebook (già in 261 lo hanno fatto).
Come si coniuga, invece, questa voglia matta di interruzioni e di domande scomode da parte dei giornalisti tradizionali con le interviste in TV che si trasformano in veri e propri comizi solitari e le conferenze stampa che molto spesso finiscono con gli applausi (ripeto: gli applausi) della stampa presente?

Il video ufficiale di Fini su YouTube (quello pubblicato dalla redazione d Libertiamo.it) a poche ore dalla pubblicazione raccoglie già 480 commenti.
Vi immaginate un giornalista che fa 480 domande o osservazioni a un politico? In Italia non si è mai visto.
In realtà il video è stato ripreso e pubblicato da centinaia di siti, ognuno con i loro commenti, dai TG nazionali, dai siti dei quotidiani stranieri con i commenti nelle relative lingue. Continue reading

l’UDC di Casini cambia nome e si affida al crowdsourcing

L’UDC cambia nome e invece di ingaggiare la classica agenzia decide di affidarsi a una community italiana online di crowdsourcing su creatività e grafica.
Gli iscritti alla community Bootb possono inviare proposte sul nome fino al 1 gennaio 2011, il brief è pubblico e il premio per il vincitore è di 5000$.
Credo sia il primo partito politico in Italia presente in Parlamento che si affida al web per rinnovare un patrimonio importante come il proprio nome.
L’operazione prevede indubbiamente un ritorno comunicativo ma non è da sottovalutare una buona dose di coraggio di mettersi in gioco.

come spende i nostri soldi la Camera dei Deputati?

In uno Stato in cui le spese sono trasparenti e i cittadini possono controllare e partecipare ci sono meno sprechi e più efficienza.
Per questo paesi come gli USA (con la piattaforma¬†Open Government) e la Gran Bretagna (che ha ingaggiato un certo Tim Berners-Lee per farsi spiegare come rendere pubblici i dati pubblici), spinti anche da movimenti d’opinione, iniziano a rendere disponibili i dati sul funzionamento della pubblica amministrazione in modo da permettere a chiunque di aggregarli o elaborarli.
In Italia nonostante tante belle parole il governo e gli amministratori pubblici stanno facendo molto poco per rendere liberamente disponibili i dati (anzi, c’è addirittura chi minaccia di oscurarli per motivi di ordine pubblico) e seguire una filosofia di Open Data. Continue reading