so the revolution was both tweeted and televised: l’attivismo digitale

La presentazione ignite di mercoledì scorso sull’attivismo digitale ha generato diverse discussioni, in particolare sulle critiche al ruolo dei Social Media nei movimenti di insurrezione (soprattutto in riferimento a Malcom Gladwell) che evidentemente vengono considerate una coperta accettabile da molti.
Troppo corta, però.
Neanche due giorni dopo è arrivata la Storia a spostare il discorso un passo avanti: le dimissioni di Mubarak, l’Egitto in festa, l’obiettivo raggiunto dal movimento e probabilmente l’inizio di una nuova fase in medioriente.

A call to all well-educated Egyptians around the world. Come back ASAP to build our nation. #Jan25
@Ghonim
Wael Ghonim

Una breve premessa sul titolo.
“The revolution will not be televised” (la rivoluzione non sarà in televisione) è un famoso brano di Gil Scott-Heron del 1970, considerato uno dei migliori di argomento politico, in cui si onora tra l’altro un attivismo lontano dai mass-media e dalla pubblicità.
Questo titolo suggestivo è stato in seguito riutilizzato molte volte per documentari o libri, non sempre nella stessa accezione politica bensì in quella di “media alternativi” ai mass-media dominanti.
In particolare negli ultimi anni lo si è usato identificando l’alternativa con Internet.
A metà del 2009 si è iniziato a parodiare il titolo, prima durante le rivolte in Moldova e poi con le lunghe e violente manifestazioni in Iran, in:

“The revolution will be tweeted”

Il riferimento quindi è ai Social Media e in particolare Twitter.
A ottobre del 2010 esce un lungo, e già celebre, articolo sul New Yorker di Malcom Gladwell, giornalista e sociologo canadese autore nel 2000 di “The Tipping Point”, con un titolo che non lascia spazio a dubbi: “Small Change: Why the revolution will not be tweeted”.
Per completezza bisogna dire che tutto il 2010 in America è stato caratterizzato da movimenti di pensiero scettici (se non proprio negazionisti) sul ruolo di Internet e dei Social Media nei movimenti politici e di piazza, alimentato in particolar modo dai neo-conservatori (e dai media di sostegno, come Fox News) impegnati a smontare, in vista delle elezioni mid-term, la credibilità di Obama che ha fatto e fa largo uso dei media digitali.
Questo è uno degli elementi che potrebbe aver contribuito al larghissimo consenso che il breve saggio di Gladwell ha ottenuto.
Poi sono iniziate le insurrezioni in Tunisia e in nord Africa e tutte le riflessioni ne hanno dovuto tenere conto.

Probabilmente alcuni termini usati in queste settimane hanno contribuito a creare confusione e voglia di facile buonsenso.
Molti hanno parlato di Twitter Revolution e molti altri, in risposta, di Facebook Revolution: non credo ci sia competizione tra i due, gli strumenti digitali usati dalla gente in Tunisia e in Egitto (come in Moldova e in Iran e altrove) sono misti e ognuno ha una funzione ben precisa.
A chi pensa che in Medio Oriente, o Nord Africa, Internet sia rappresentativa solo di una parte della popolazione (e quindi abbia un’incidenza relativa) vale la pena di ricordare che in quelle nazioni la maggioranza assoluta della popolazione è composta da giovani, Internet quindi è diffusissima (ed è utilizzata intensamente persino dai conservatori e dagli integralisti).
Inoltre il telefono cellulare è altrettanto diffuso, praticamente tutti ne hanno uno, non di rado con funzionalità avanzate come i nostri smartphone o comunque in grado di connettersi a Internet o di inviare SMS (basta anche solo questo per inviare un tweet da una piazza).

Tra chi riconosce a Internet un ruolo attivo nell’accendere la miccia delle rivolte c’è chi parla di vero e proprio potere politico dei Social Media (come Clay Shirky) e chi di speciale capacità della Rete di favorire la libertà (come Cory Doctorow).
Certamente posizioni così evolute necessitano di adeguati approfondimenti ma non si può negare che qualcosa di importante stia accadendo né che il ruolo della tecnologia, unito alle specifiche situazioni storico-politiche, sia di primo piano.
Presentare questi risultati come casuali o frutto di fenomeni storici inevitabili lascia troppi buchi e domande irrisolte.

Tra gli scettici prevale una visione statica, una prospettiva esclusivamente storica e poco evolutiva degli eventi.
Malcom Gladwell pochi giorni prima delle dimissioni di Mubarak ancora difende la propria posizione minimizzando il ruolo della tecnologia, ricordando che rivoluzioni e rivolte avvengono da ben prima che esista Internet.
Josh Bernoff gli risponde – ed è un buon punto di partenza – che probabilmente i Social Media non hanno causato le rivolte ma hanno avuto un ruolo fondamentale nel loro successo.
Quello che accomuna le tesi scettiche è una visione strumentale della tecnologia digitale: Internet è come la radio negli anni ’30 o la tv negli anni ’70 o la ferrovia di fine ‘800 e non può che avere un ruolo analogo, di contorno o indifferenziato.
Abbondano quindi i paragoni col passato: Mao, la Rivoluzione Russa, la Rivoluzione Messicana, il crollo del Muro di Berlino ecc.
Ma noi non siamo più nel 1917, siamo molto diversi e il mondo è molto diverso.
È comodo e tranquillizzante pensare che tutto sia sempre immutabile, a meno dei cambiamenti tecnologici, ma le cose non stanno proprio così.
Internet ci può aiutare a fare cose che altrimenti, forse, non avremmo mai fatto.

L’aspetto su cui gli scettici puntano molto è il fattore umano.
Gladwell, per esempio, dice che senza persone reali che prendono rischi reali non c’è alcuna rivoluzione. Non basta aderire a una causa su Facebook.
Questo è naturalmente vero.
Ma Internet può aiutare a spingere in piazza gente che altrimenti non avrebbe avuto il coraggio, come è successo con la classe media, e più istruita, egiziana.
La grande forza della Rete è proprio nel passaggio dall’online al mondo reale.
Ed è importante sottolineare come il ruolo di Internet non sia meccanicistico: non è Internet che spinge alla rivolta bensì le persone; è proprio il fattore umano a trarne benefici, la Rete abilita e basta.
Il sacrificio di Mohamed Bouaziz, simbolo della rivoluzione in Tunisia, poteva rimanere sconosciuto ai più (come molti altri in passato) o nascosto dal regime, se i gruppi su Facebook non lo avessero mostrato e diffuso capillarmente.
Stesso discorso per il gruppo “siamo tutti Khaled Said”, sulla morte per tortura di un giovane egiziano, creato da Wael Ghonim, ora tra i più ascoltati attivisti della rivoluzione egiziana.
Non è un caso che queste persone e questi eventi siano diventati i simboli delle rivolte.
Sarebbe potuto accadere tutto questo solo con un tradizionale passaparola dal vivo, tramite la TV (controllata dal regime), tramite la radio?
Avrebbero mai raggiunto la massa critica in questo modo?

L’altro aspetto su cui gli scettici si soffermano è la possibilità di usare la Rete come strumento di repressione.
Come può essere un fattore abilitante di democrazia qualcosa che può essere usato per individuare i dissidenti e spiarli?
Così è successo in Iran e in Tunisia, in Egitto addirittura la Rete è stata spenta dal regime.
Ancora una volta, però, si confonde il mezzo tecnologico con i contenuti.
Se anche Internet permettesse la repressione con altrettanta facilità con cui permette l’aggregazione, il bilancio sarebbe ancora positivo, non neutro.
Il fatto di aver contribuito a creare la consapevolezza in un’ampia fascia di popolazione permette comunque alle idee e alle azioni di andare avanti anche senza la Rete stessa.
È proprio quello che è accaduto in Egitto dove lo spegnimento di Internet non ha fermato la rivolta, anzi l’ha ulteriormente alimentata, invitando la gente a usare metodi alternativi reali – ma sempre strutturati a network – per comunicare.
La struttura una volta creata e consolidata non sparisce spegnendo un interruttore, altro che i “legami deboli” di cui parla Gladwell.

Ma anche mettendoci nella prospettiva degli scettici, si può davvero paragonare un mass-media come la TV con Internet?
Per avere la risposta basterebbe riflettere sulla natura gerarchica della prima, che incide su un’audience indistinta (la “massa” appunto), in confronto alla struttura a network – o rete di reti – della seconda.
Non sono modelli di comunicazione sostitutivi, non sono neanche sulla stessa linea evolutiva tecnologica e sociale, infatti possono coesistere.
Anzi, l’altro grande protagonista della rivolta egiziana è stata la TV satellitare pan-araba Al Jazeera, che il regime ha tentato continuamente di oscurare.
Asserragliati nei loro uffici su un grattacielo davanti al Ponte 6 Ottobre al Cairo, mostravano in diretta quello che accadeva in Egitto mediante piccole webcam e inviati in collegamento telefonico tra la gente.
La sua diretta streaming via web è stato lo strumento principale per ottenere immagini di quello che accadeva ma la loro informazione era densa dei tweet che la gente inviava, che venivano letti e mostrati, e gli stessi inviati comunicavano principalmente inviando messaggi su Twitter, più che realizzando servizi.
Finchè non ci siamo accorti di questo:

Al Jazeera non sta più facendo TV tradizionale, sta facendo una web-TV trasmessa anche via satellite #Egypt #Jan25
@ezekiel
Luca Alagna

La stessa TV per raccontare qualcosa di strutturato profondamente a rete si è fatta Rete.
Questo avvalora la riflessione che già avevo proposto fin di tempi dell’Iran: tra questi giovani nelle strade del Cairo, di Teheran e di Tunisi ci sono i reporter e i giornalisti del futuro.

The revolution was both tweeted and televised: it’s the same network of people

Il grande scontro a cui stiamo assistendo è tra due diversi modelli strutturali: la gerarchia contro la rete.
Il primo è quello a cui si sono appoggiate le democrazie nel secolo scorso ma, attenzione, non coincide con la democrazia stessa.
Democrazia non è necessariamente controllo gerarchico, come ci ha anche mostrato Wikileaks.
I ragazzi nordafricani e mediorientali ci stanno facendo vedere come di fronte a una democrazia monca che si trasforma in regime è possibile un’alternativa: la rete.
E le critiche secondo cui questa alternativa non abbia leader o non sia in grado di fare chiare proposte politiche sono distorsive.
Quello è ciò che appare da una “prospettiva gerarchica” ma dal punto di vista della rete è proprio la sua forza.
Non è un caso che stia nascendo in paesi molto giovani, portati alla tecnologia e in cui, a causa di decenni di duro regime, l’opposizione democratica (ma anch’essa gerarchica) era stata annichilita.
Tabula rasa, ed è la gente stessa che riparte dalla rete.

Proud of you Egyptians! Over 20k Ideas and More than 630k votes. Everyone is thinking what should be Egypt 2.0 http://bit.ly/hF5F65
@Ghonim
Wael Ghonim

È chiaro a questo punto come quello che definirei “attivismo digitale” non coincida con l’attivismo tradizionale né abbia necessariamente punti di contatto né lo sostituisca in toto.
Stiamo usando una stessa parola per comodità e l’attivismo tradizionale può far parte di questa nuova struttura, è uno degli elementi in gioco ma non è più il solo possibile.
Nell’attivismo digitale si mischia civismo, nuovi tipi di giornalismo, cittadinanza consapevole, opinione pubblica attiva e molto altro che esiste non solo su Internet ma si concretizza nella realtà delle strade e del quotidiano.

In conclusione, i fattori che a mio parere innescano e costituiscono l’attivismo digitale li elenco nelle slide della presentazione ignite ma tra loro voglio sottolineare ancora una volta l’empatia.
Forse è davvero l’aspetto caratteristico di questo nuovo secolo come ci racconta Rifkin, a cui si riferisce – e a questo punto non è un caso – come nuovo Rinascimento.
È l’empatia, che la Rete ci permette di sviluppare, che ci spinge fuori di casa e ci attiva davvero.
Ed è proprio quello che ci dà la possibilità di conoscere meglio ciò che è molto lontano, o molto diverso, da noi.


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3 thoughts on “so the revolution was both tweeted and televised: l’attivismo digitale

  1. Flavio Pintarelli

    Mi pare che gli scettici come Gladwell dimentichino che ogni periodo rivoluzionario si è accompagnato a cambiamenti fondamentali nella struttura e nei mezzi della comunicazione…e questo è un fattore che non può essere sottovalutato…

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