senza trasparenza non c‚Äôè democrazia: il contributo di wikileaks

Prendo lo spunto da un mio intervento a Radio Versilia di qualche giorno fa per fare una riflessione più generale su Wikileaks.
È indubbio che il #cablegate sia un attacco al sistema ma la domanda che dovremmo farci non è da chi (e perché) provenga questo attacco ma cosa sia diventato questo sistema oggi.
Concentrarsi su Assange, su chi sia veramente, da dove provenga, chi l’abbia manovrato, è nel migliore dei casi ingenuo complottismo e nel peggiore completamente inutile.
I dispacci della diplomazia USA sono lì, visibili da tutti, e quotidiani importanti (parliamo del New York Times, del Guardian, di El Pais, di Le Monde) ben al corrente del contesto ci hanno costruito sopra storie rilevanti, mettendo in gioco la loro credibilità.
E, cosa più importante, ci avrete fatto caso: su 250.000 nessun cablogramma è stato smentito dal Dipartimento di Stato.
Sarebbe stata la via più facile, fare muro contro muro nell’autorevolezza, sfidare Wikileaks nel portare le prove , insinuare il dubbio.
Ebbene l’amministrazione americana più che da onestà intellettuale è stata travolta dall’incontrovertibilità del fatto.
La Clinton non ha potuto far altro che diffondere allarmi su ipotetiche vite messe in pericolo di cui, a una settimana dall’inizio delle rivelazioni, non si ha ancora notizia.
Senza considerare l’emissione di divieti surreali come quello ai militari di non leggere su Internet i dispacci in questione, né le notizie relative, o ben più minacciosi e diseducativi come quelli verso gli studenti della scuola di relazioni internazionali della Columbia University di non commentare o citare mai su Facebook o Twitter nulla in proposito pena l’esclusione dal futuro lavoro.
Il Segretario di Stato schiera al suo fianco coloro che fanno l’apologia della segretezza arrivando all’assurdo di proporla come caposaldo della democrazia¬†perché, essendo già uno strumento delle tirannie (quelle che mettono in galera i giornalisti), privarsene sarebbe dopotutto uno svantaggio nella lotta al Male.
Infine inizia a manifestarsi il corollario delle aziende americane su Internet che, basandosi su queste ipotesi fasulle e invocando ognuno i loro personalissimi “termini di servizio” (sono quei lunghissimi testi in legalese che accettiamo ogni volta che ci iscriviamo a un servizio online gratuito), tagliano i servizi a un’associazione come Wikileaks che ad oggi non è accusata di aver commesso alcun reato, realizzando di fatto una censura.
Amazon, EasyDNS, Tableau, ¬†PayPal (e non scommetterei che la lista si fermi qui) si sono affrettati a escludere Wikileaks dai loro sistemi sfidando la riprovazione dei loro stessi utenti, persino di quelli non favorevoli al gruppo di Assange, e mettendo a rischio un bene così prezioso per loro come la credibilità.

Di fronte a questo scenario dovremmo domandarci quale sistema dovremmo difendere.
Quello che, per esempio, da anni deve ancora istituire, nonostante le promesse, una regolamentazione finanziaria che impedisca a nazioni intere di finire sul lastrico dalla mattina alla sera solo per speculazioni guidate dagli hedge fund?
Lo stesso che, però, partendo da un’accusa qualsiasi, in meno di una settimana ha già trovato un modo per poter arrestare Assange e poterlo estradare (non si sa bene in base a cosa) negli USA?
O quello che ha la forza di denunciare come chi è al potere democraticamente a volte lo usi per altri scopi, trincerandosi dietro il segreto di Stato?
La segretezza è veleno per la democrazia e andrebbe usata con molta accortezza.
Oggi le dittature non mostrano quasi più i carriarmati nelle strade , usano il segreto e l’oppressione dell’informazione libera per dominare la gente.
Cosa ci garantisce di non essere sotto una dittatura? Forse di poter girare liberamente in auto? O di poter spendere come vogliamo i nostri soldi?
No, ce lo garantisce proprio un’informazione libera che non ha paura anche di scavare nel fango più putrido o di violare il tempio della riservatezza.
Poter leggere i cablogrammi della diplomazia USA è un’occasione unica di trasparenza e di controllo da parte dei cittadini su come si comportano coloro che hanno eletto e che pagano per amministrare.
Non è un attacco al funzionamento della diplomazia perché non si sta sostenendo che d’ora in poi i dispacci riservati dovranno essere pubblici.
Il Dipartimento di Stato USA ha commesso dei gravi errori (dal riunire tutti i documenti in un unico punto al diffonderli indiscriminatamente sulla rete interna SIPRNET) e ne sta pagando le conseguenze.
Ma eccezionalmente i cittadini americani (e non solo) stanno osservando come vengono spesi i loro soldi.
Questo implicherà un’interessante lezione di democrazia per tutti: per la gente su come gestire il proprio voto e la propria opinione, per i politici e i funzionari su come nessuno mai può considerarsi intoccabile e al di sopra di tutti, neanche nascondendosi dietro il segreto.
La democrazia è proprio questo, è trasparenza.
E Internet è un’opportunità irripetibile di salvarla.


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