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cose da non fare per informarsi sulla salute di Fidel Castro

1) Prendere per buone le informazioni di pubblicisti anticastirsti residenti a Miami.
Ma perché un anticastrista che vive a Miami dovrebbe essere la fonte ufficiale da cui determinare la salute di Fidel Castro?
È come chiedere informazioni sulla salute del Papa a una setta satanica.
Alberto Muller dice che Castro sta male da molti anni (in realtà è risorto per incontrare Benedetto XVI a marzo), è in morte cerebrale e tutto il mondo riprende il suo post come se fosse un lancio Reuters.
Siamo d’accordo che è difficile avere notizie dall’interno di un regime ma servirà qualche altra verifica?
Per esempio dagli inviati a Cuba.

2) Prendere per buone le informazioni di siti web antiregime.
Il sito web Neo Club Press, contrario al regime cubano, dice che ha degli informatori anonimi all’interno di un Ministero cubano che confermano la morte cerebrale.
Voci di informatori anonimi di un anonimo Ministero non è quello che definirei un indizio definitivo.
Forse è più affidabile un esperto di Cuba che possa interpretare i piccoli segnali nel Paese.
Se muore Fidel Castro non si mettono di certo a scrivere un comunicato stampa da far girare per i palazzi governativi.
Quando morì Andropov in URSS milioni di russi, e dirigenti del partito, ignorarono la sua dipartita per ben 6 mesi.

3) Telefonare a Yoani Sanchez.

Ora, con tutta la simpatia per la blogger rimpatriata dalla Svizzera che non è l’unica dissidente esistente a Cuba, se Fidel Castro fosse morto credo che lei sarebbe l’ultima persona al mondo a cui lo andrebbero a dire.

Insomma tutto questo assomiglia sempre più a un gioco delle freccette con le breaking news, nella speranza di fare probabilisticamente centro invece che tentare di fornire buona informazione.
Un gioco in cui, se va male, naturalmente si dà la colpa al web, alla Rete, a Twitter.

Google svela i suoi micropagamenti: rivoluzioneranno il giornalismo online?

Quello dei pagamenti dei contenuti digitali è da sempre il nodo cruciale per il superamento dei vecchi modelli di business per l’editoria online e lo sviluppo di quelli nuovi.
L’uso di veri micropagamenti è sempre stato considerato il punto di svolta, in questo senso e oggi Google può aver cambiato il corso degli eventi.

Il vecchio modello del “tutto compreso”, così naturale per i supporti del secolo scorso (non si può acquistare solo una sezione o una pagina di un quotidiano di carta e neanche avrebbe senso), si è trasformato online gradualmente nel modello del paywall.
Insomma non si può acquistare solo una sezione di un quotidiano di carta, una pagina di un altro, una copertina di un magazine, un editoriale di un mensile e neanche avrebbe senso farlo: nel mondo fatto di atomi o si acquista tutto o nulla.
Questo ha sempre implicato una certa rigidità nell’offerta e nella dieta informativa dei lettori.
Esistono lettori affezionati, forti identità di testata, c’è un limite fisico alla diffusione dei contenuti e c’è anche una certa forma di upselling forzato dei contenuti: se compro un quotidiano di carta per leggere il mio editorialista preferito, probabilmente sto pagando anche altra informazione di qualità molto inferiore.
Nel mondo degli atomi non si esce da questo schema classico e ancora oggi è il modello di riferimento per il business. Continue reading

il falso equilibrio nel giornalismo e la linea editoriale

La questione del falso equilibrio nel giornalismo credo che riassuma bene l’essenza del cambiamento che sta vivendo l’informazione, anche a causa dei Social Media.
Non a caso se ne parla sempre di più ultimamente, soprattutto in USA, come segnala un’ottima riflessione di Luca Sofri, molto meno – ahimè – in Italia.
Il falso equilibrio consiste nel rappresentare giornalisticamente due tesi opposte sullo stesso piano a prescindere dalla verifica dei fatti.
L’equidistanza e l’equilibrio come virtù superiore al fact-checking.
Ne è un esempio la litania delle opinioni dei nostri politici sul tema del giorno, mostrate in sequenza senza contraddittorio, sulle TV di Stato o generalmente i confronti tra i discorsi dei candidati presidenziali democratici e repubblicani sui media americani.

Questo atteggiamento che poteva sembrare persino conveniente nel giornalismo del secolo scorso, dove l’accesso alle fonti era riservato a pochi e la centralizzazione del processo giornalistico la faceva da padrone, oggi è detestato dai lettori e telespettatori.
Questi ultimi – e tutti noi – grazie all’accesso diffuso alle fonti, sono in grado di andare a verificare le affermazioni o, meglio, trovano facilmente online chi l’ha già fatto per loro.
Migliaia di blog e profili Twitter si occupano quotidianamente di questo, costituendo un nuovo tessuto informativo, ma ci sono esempi più strutturati come PolitiFact.com, condotto dal Tampa Bay Times (vincitore di un Pulitzer nel 2009), o Factcheck.org o persino un progetto destinato a verificare articolo per articolo un solo quotidiano, il New York Times Examiner.

A questo punto la questione diventa: basta tutto questo a migliorare il giornalismo o è solo l’allineamento dell’offerta a una nuova domanda?
In altre parole, chi verifica il fact-checker? Quanto deve essere lunga la catena di verifiche oggi per considerare un risultato accettabile?
Ultimamente nel valutare il fact-checking riserviamo più attenzione al “checking” e meno al “fact”.
Il primo è alla portata di tutti ma il secondo richiede una visione più ampia, quella del giornalista appunto.
L’accezione di ciò che può essere validamente considerato “fatto” si è indubbiamente allargata, a causa della tecnologia e delle interazioni online, e non dipende più solo da chi lo riporta.
È un fatto non più solo il risultato di un reporter o di un’Agenzia ma anche quello di un cittadino comune che scatta casualmente una foto, per esempio, di un aereo che atterra nell’Hudson a New York.
È un fatto sia la testimonianza oculare di un attivista durante le proteste in piazza Tahrir al Cairo sia il report di un giornalista nella stessa piazza che non ha visto quella cosa ma riporta una visione più ampia.
Ed è un fatto anche la dichiarazione ufficiale di un regime, in contrasto con entrambe.
Il rapporto tra fatti e verità dei fatti diventa molto più complesso e meno lineare.
Oggi racchiudere tutto in un’unica storia è quasi impraticabile, si possono al più raccontare molte storie o cercare di unire tutti i puntini.

L’altro fattore cruciale è il tempo.
Il fact-checking più profondo è generalmente dispendioso in termini di tempo: come si può produrre oggi una buona informazione verificata in un tempo accettabile?
L’informazione non deve rinunciare ad essere tempestiva solo perché esistono Twitter e Facebook ma deve poter scegliere subito la strada più adatta partendo da pochi elementi.

Queste questioni appaiono irrisolvibili ma in realtà una strada ci sarebbe, consiste in una forte affermazione di trasparenza verso il lettore derivante da una linea editoriale ben inquadrata.
La linea editoriale oggi viene usata molto spesso per posizionarsi esternamente al sistema informativo (soprattutto verso i poteri politici ed economici) o risultando abbastanza generica da permettere di avere ampli margini.
Con una linea editoriale chiaramente posizionata si possono selezionare i fatti, verificarli, assemblarli in una narrazione piuttosto rapidamente, individuare subito una strada di approfondimento e verifica.

Naturalmente il prezzo da pagare per risolvere questo dilemma è alto e non tutti i produttori di news sono disposti a farlo.
Non si tratta di assumere posizioni estreme o irresponsabili ma si tratta di ridimensionarsi dentro una rete, mostrarsi per quello che si è, di accettare di non essere più al centro del mondo ma di essere un mattone di un edificio, di non pretendere più di fornire ai lettori una visione universale ma una visione possibile tra tante nel mondo.

 

un modo nuovo di esplorare l’informazione

Quando iniziai a sperimentare l’aggregazione di news su Twitter nell’estate del 2009 il mio sogno era di condividere i filtri che raffinavo giorno dopo giorno mediante nuovi strumenti, in modo da partecipare tutti alla nuova visione comune dell’informazione.
Era l’anno delle rivolte in Iran, che cominciarono a scuotere il mondo arabo, in cui il crowdsourcing e il citizen journalism ci mostravano gli aspetti più crudi della nuova disintermediazione informativa e l’impostazione tradizionale cominciava a mostrare i suoi limiti.
I lettori e i cittadini stavano diventando attivi ma la consapevolezza di questo cambiamento nell’informazione non era ancora abbastanza condivisa (in particolare in Italia) e non esistevano strumenti di questo tipo.

Al contrario, da quei giorni ad oggi gli strumenti e i progetti si sono concentrati nel distribuire in maniera diversa e capillare i contenuti basandosi però sullo stesso modello di prima, personalizzandoli per ogni lettore e cercando disperatamente di diminuire l’information overload. Continue reading

il valore condiviso dell’informazione e il caso Reporter di Repubblica.it

La vicenda di Reporter, un’iniziativa di Repubblica.it che prevede contributi diffusi, già simile ad altre nel mondo, e delle polemiche e i dubbi sulla remunerazione dei partecipanti mette a nudo una zona grigia di passaggio dai modelli editoriali economici a cui eravamo abituati a quelli nuovi.
Innanzitutto il tema del precariato nel giornalismo è reale e molto serio.
Alcuni editori sfruttano un’incerta sovrabbondanza di offerta per sottopagare e sfruttare, altri si fanno semplicemente trasportare dal “mercato” senza opporsi, i vecchi pilastri come la carta, la pubblicità e i finanziamenti languono.
Non c’è bisogno di aggiungere che questo meccanismo oltre a non tutelare i lavoratori genera pessima informazione e quindi danneggia l’interesse pubblico.
Dall’altra parte una grande massa di appassionati ed entusiasti (ex) lettori immette volontariamente e continuamente materiali interessanti e liberamente fruibili.
Le iniziative e i contenuti dei citizen journalist sono spesso sostenuti e amplificati con la stessa passione dagli altri, a volte persino dai mezzi stampa, ma non è chiaro in cambio di cosa o di quanto.
Abbiamo due situazioni che da sole sono insostenibili è inevitabile che cerchino un punto di incontro.
Il problema è: su quale base di remunerazione?
Parliamo solo di denaro? Continue reading

Twitter Divide

Cosa spinge un intellettuale acuto come Michele Serra a prendersela con Twitter?

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La polemica è forte e prolungata, nonostante non sia stato il primo (né in Italia né all’estero) a muovere critiche di questo tipo, al punto da spingerlo a ben due repliche.
Infatti dopo la sua prima invettiva, nella storica rubrica L’Amaca, i commenti dentro e fuori Twitter sono stati innumerevoli e altrettanto forti (i principali: Luca Sofri, Davide bennato, Fabio Chiusi).
La sua prima replica, via telefono (sic) registrata in un video e diffusa online, non aveva certo contribuito a placare le discussioni: Continue reading

il giornalista Social Media Editor in Italia: @annamasera a La Stampa

Finalmente anche i grandi quotidiani italiani iniziano a muoversi verso i Social Media in maniera più strutturata.
Compaiono ufficialmente figure giornalistiche specializzate, per il nostro sistema editoriale non è poco.
Mario Calabresi annuncia che la giornalista Anna Masera sarà Social Media Editor del quotidiano La Stampa.
Si tratta di un ruolo di transizione importante che esiste già nel giornalismo anglosassone.
O meglio, è esistito perché la sua funzione si sta esaurendo.
I giornalisti stanno imparando a integrare nel loro lavoro gli strumenti e i risultati permessi dai Social Media.
In definitiva stanno lentamente velocemente cambiando il loro modo di lavorare e di elaborare le news senza stravolgere l’essenza del giornalismo.
È un processo ormai inesorabile in cui, grazie anche agli esempi che sono in grado di osservare, stanno imparando un rapporto nuovo con i contenuti e con nuovi modi di relazionarsi, e saranno sempre più affiancati da strumenti specializzati, eventualmente coincidenti con il meccanismo editoriale stesso.
La linea editoriale del futuro sarà un software? Continue reading

news in tempo reale dal Giappone: una lista twitter di cittadini, blogger, giornalisti sul campo (o collegati)

Il terremoto in Giappone di qualche giorno fa ha scatenato una serie di eventi catastrofici a partire da un enorme tsunami.
Pur essendo un paese ben preparato alle catastrofi naturali ora ci si trova di fronte anche a un’emergenza nucleare che il mondo segue col fiato sospeso.
Anche stavolta il ruolo di Internet è fondamentale.
È diventato il modo principale per comunicare tra le persone, impossibile con altri mezzi danneggiati o per chi è fuori casa o sfollato, anche grazie alla grande diffusione della connettività mobile.
E pur non mancando una presenza attiva di giornalisti mass-media, con canali tv in continua diretta sugli eventi, è utilizzato molto dal governo per comunicare dettagli sulle decisioni (orari dei black-out, avvisi ecc.) e per fornire annunci in tempo reale, anche dalle conferenze stampa.
Attraverso i Social Media (e in particolare Twitter) è possibile filtrare news in tempo reale, le sensazioni, le foto e i video di chi abita direttamente sui luoghi del disastro che sono stati a lungo irraggiungibili, le opinioni e alcune piccole storie significative, le anteprime degli inviati dei grandi network, persino le dirette video delle conferenze stampa e degli eventi.
La comunità Twitter giapponese è una delle più ampie al mondo ma è importante trovare chi rimanda informazione nella lingua comune inglese, in modo da poterle far circolare.

Qui sotto potete trovare una lista Twitter in inglese, che si aggiorna in tempo reale, dei tweet filtrati in questo modo di cittadini, blogger, giornalisti sul campo o molto vicini al Giappone quindi in grado di fornire informazioni attendibili, secondo il mio punto di vista.
Quindi questa pagina può essere utile a chi si vuole continuare informare o ai giornalisti più interessati o a chi intende diffondere a sua volta news.

Da questo insieme ho anche creato alcune storie in continuo aggiornamento con Storify come: dopo lo shock: piccole storie in Giappone, Fukushima nuclear plant failure e conferenza stampa di CNIC Japan.

p.s. naturalmente siete liberi di inserire questo widget in blog, siti di informazione, quotidiani (anche nazionali).
Potete chiedermi il codice via email o ricrearlo tramite Twitter (vi chiedo solo di mantenere lo stesso titolo e sottotitolo)