Twitter Divide


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Cosa spinge un intellettuale acuto come Michele Serra a prendersela con Twitter?

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La polemica è forte e prolungata, nonostante non sia stato il primo (né in Italia né all’estero) a muovere critiche di questo tipo, al punto da spingerlo a ben due repliche.
Infatti dopo la sua prima invettiva, nella storica rubrica L’Amaca, i commenti dentro e fuori Twitter sono stati innumerevoli e altrettanto forti (i principali: Luca Sofri, Davide bennato, Fabio Chiusi).
La sua prima replica, via telefono (sic) registrata in un video e diffusa online, non aveva certo contribuito a placare le discussioni:

Nell’ultima, usando il suo mezzo di scrittura preferito, sono venute a galla molte questioni interessanti e forse rivelatrici.

Michele Serra scrive alcune cose condivisibili.
La questione dell’uso impulsivo della parola, della prevalenza dell’emotività sul ragionamento è reale ma non nasce certo con Twitter.
Ne è testimonianza il suo stesso precedente corsivo contro il sensazionalismo della stampa italiana.
Che, fa notare Michele Serra, non ha ricevuto gli stessi attacchi, perché?
È possibile applicare gli stessi schemi mediatici alla TV, ai quotidiani e a Twitter?

Io non credo che tutto si possa sempre ridurre facilmente alla questione se un mezzo sia davvero tale e se costituisca esso stesso il messaggio oppure no.
Ma devo ammettere che quello che davvero divide l’Italia su Twitter (e altri modi tecnologici di relazionarsi), spesso gli intellettuali e i più evoluti, è la sua strumentalizzazione.
Questo considerare Twitter (e gli altri) in maniera funzionale, come un nuovo elemento in uno schema già ben conosciuto e consolidato è il vero errore di fondo.
È una strumentalizzazione che porta a due scelte: sfruttarlo (obtorto collo, si potrebbe dire) per raggiungere i propri obiettivi o rifiutarlo, come fa Michele Serra, perché incompatibile con qualsiasi scopo personale, in particolare quello della crescita culturale.

Serra stesso, per confutare i propri critici, si chiede: ma Twitter è un medium o una comunità di persone?
Nessuno dei due, si potrebbe rispondere, questi modi di informare e relazionarsi stanno ridefinendo di fatto l’incarnazione dei concetti di mezzo, contenuto e persino di cultura nel Ventunesimo Secolo.
E lo stanno facendo, che ci piaccia o no, al di fuori di qualsiasi controllo dello status quo culturale e intellettuale.
Ecco perché l’Italia è particolarmente colpita da questo Twitter Divide, perché negli ultimi 30 anni abbiamo modellato la comunicazione “popolare” e il ragionamento su schemi molto rigidi, diventati classici e poco aperti alla novità e alla creatività.
Proprio questo ha avuto conseguenze politiche, sociali, culturali di cui ora dobbiamo liberarci.
Anche molti intellettuali e professionisti della comunicazione si sono fatti trasportare da questo irrigidimento e oggi si trovano in una retroguardia disposti vanamente ad allearsi col nuovo “nemico”  (a volte esaltandolo eccessivamente) o a punzecchiarlo.

I difetti di Twitter (e degli altri) che Michele Serra mette in evidenza sono reali.
La tentazione del giudizio sommario, del pulpito facile da occupare, di una scorciatoia per gridare disperatamente “io esisto” possono essere constatate quotidianamente.
Ma senza una nuova prospettiva in cui valutare tutto questo non si può che arrivare alle conclusioni catastrofiche del primo corsivo.
La prospettiva è fornita dall’esperienza, i “mondi digitali” sono fortemente empirici.
Non esiste, né esisterà mai, un librone teorico-analitico su come va usato Twitter e perché.
Nessun nuovo Castells o McLuhan a illuminarci.
Se non sperimenti Twitter è difficile capirlo, capirne le implicazioni, la nuova prospettiva o persino raccontarlo.
Ecco l’errore di fondo di Michele Serra (ma è in buona compagnia) nel primo corsivo quando cerca di osservare il fenomeno Twitter dall’uso che ne fa un suo amico, e probabilmente da tutto quello che se ne scrive intorno.
Twitter, per come è, va vissuto, è un’esperienza immersiva che è anche molto impegnativa.

Perciò dire che

“ci sono cose che sono complesse e addirittura complicate, e dunque irriducibili alle pochissime parole che Twitter concede”

è di fatto una tautologia.
In questa nuova prospettiva non esistono più “mezzi” isolati, autorevoli, autosufficienti, autoconclusivi.
Tutti i “mezzi” vengono rimediati e diventano parte di un unico ecosistema interconnesso, ecco cosa sta accadendo.
Twitter fornisce frammenti e spunti che possono essere eventualmente approfonditi altrove, in altri modi, in altri momenti, senza bisogno di essere consumati necessariamente.
L’autorevolezza (aristotelica, mi verrebbe da dire) a cui eravamo abituati si frammenta e si trasforma nella reputazione nei propri gruppi di appartenenza e persino gli aspetti più criticabili, come per esempio i fenomeni di mitomania e presenzialismo, vanno inquadrati in questo nuovo ecosistema non in modelli del secolo scorso.
Sì, 140 caratteri possono essere parte di un ragionamento e persino di un processo culturale, a patto di aprirsi al nuovo senza pregiudizi e assumerne consapevolezza.

 


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