l’influenza sull’opinione della corretta informazione e i social media: una mappa mentale sul caso Ruby

Una cosa che mi ha sorpreso e incuriosito del caso Ruby, uno degli argomenti di informazione italiana recenti più discussi, è la quantità di opinioni diverse che capita di sentire a proposito dalla gente.
Non c’è una ricerca scientifica su questo ma dalla strada alla stampa capita di sentire o leggere posizioni molto diverse, molto distanti e molto numerose sul caso.
L’aspetto è interessante perché sulla stampa straniera invece, non solo quella anglofona, la questione appare presentata in maniera molto semplice, seppure grave, basata sui fatti e senza neanche particolare sorpresa visto che capita più spesso di quanto si pensi ai leader occidentali di essere messi sotto inchiesta: dal caso Clinton-Lewinsky, alla più recente inchiesta su Tony Blair, fino al processo che l’ex presidente francese Chirac subirà a giugno per appropriazione indebita.
Ho provato quindi a fare una mappa mentale di tutte le diverse opinioni che capita di sentire in Italia sul caso Ruby, partito dalla telefonata di Berlusconi alla Questura di Milano.
La mappa mentale è uno strumento molto utile per riordinare informazioni caotiche e quindi per gestire la creatività.
Si tratta di una rappresentazione grafica espressiva, gerarchica e radiale delle idee che viaggiano per associazione mentale e permette anche dei salti associativi ulteriori al suo interno.
Può essere usata come evoluzione del brainstorming e, utilizzando associazioni di pensiero, non ha pretesa di scientificità, è soggettiva ma tenta di rappresentare un percorso mentale.
Questa mappa tenta di replicare le associazioni tra tutte le opinioni finora ascoltabili in Italia in luoghi diversi (al bar, sul posto di lavoro, sulla stampa, in tv, su Internet) partendo dal primo fatto rilevante.

Probabilmente le opinioni rilevabili non si esauriscono qui e se ne potrebbero aggiungere molte altre con gli ultimi sviluppi.
C’è da notare che mediante un abile sondaggio da una situazione del genere è possibile estrarre qualsiasi risultato, spacciandolo come l’opinione della gente.

Noi italiani non siamo particolarmente noti per spaccare il capello in quattro e, per esempio, nella storia della cronaca nera abbiamo sempre assistito a posizioni abbastanza polarizzate dell’opinione pubblica (colpevolisti contro innocentisti, per dirne una).
Eppure stavolta, almeno inizialmente, si parla pur sempre di fatti giornalistici.
Allora la domanda che viene è: che influenza ha sull’opinione pubblica la corretta informazione, quella che proviene dalla verifica dei fatti?
Recentemente ha provato a rispondere Joe Keohane sul Boston Globe con un articolo in cui riassume ricerche recenti in psicologia e sociologia che mostrerebbero come i fatti verificati non necessariamente fanno cambiare idea alle persone, anzi su chi è più schierato hanno l’effetto di rafforzare le loro convinzioni.
Può sembrare davvero curioso che l’esposizione di notizie con fatti verificati a chi è poco informato ma schierato non solo non faccia cambiare idea bensì rafforzi la loro posizione e invece faccia effetto solo su chi è più aperto mentalmente.
Significherebbe che, per esempio in politica, lo zoccolo duro delle diverse posizioni sia indifferente allo svolgimento della vita pubblica?
Sarebbe a rischio il meccanismo democratico dell’informazione e del controllo dei cittadini?
Le persone meno informate sono quelle più decisive nella vita pubblica?
È il meccanismo dei militanti di partito o, per analogia, dei religiosi, delle sette ecc.
Vediamo perché questo accadrebbe:

  1. la tendenza naturale della mente umana a prendere in considerazione le informazioni che confermano le nostre convinzioni e scartare le altre.
    È una sorta di ricerca della coerenza ad ogni costo.
    La questione diventa: come si sono formate, allora, le nostre convinzioni?
  2. la tendenza all’autoconservazione per cui le convinzioni che abbiamo maturato vengono difese invece di essere messe alla prova.
  3. carenza di autostima, senso di insicurezza o di minaccia.
    Uno studio mostra che le persone con maggiore autostima o migliore consapevolezza di sè sarebbero più propense a considerare nuove informazioni mentre quelle più insicure tenderebbero a conservare gelosamente le proprie convinzioni acquisite.

Ne conseguirebbe che, a livello di gestione del consenso popolare, far sentire i cittadini insicuri o minacciati sia un ottimo modo per non fargli cambiare idea o rendere difficile la valutazione di nuove informazioni verificate.
Inoltre c’è un modo per trarre in inganno anche i cittadini più evoluti e sicuri: il costante affollamento informativo.
Infatti un’altra ricerca ha trovato che anche i soggetti meno insicuri e più aperti mentalmente continuano a sostenere una piccola percentuale di tesi smentite da fatti evidenti.
Questo accade perché in presenza di una continua e sostenuta mole di informazioni (information overload) il nostro cervello cerca di lavorare con delle scorciatoie basate su intuito, logica, induzione ecc. invece di processare singolarmente tutte le informazioni.
Essere correttamente informato è molto faticoso e neanche i più sofisticati riescono ad esserlo analiticamente.
Tutto questo sempre in riferimento ai mass-media.

Allora il nodo cruciale diventa: come si formano le nostre convinzioni, che poi l’ambiente moderno di fatto tende a farci conservare?
Naturalmente i mass-media, e in particolare la televisione, contribuiscono a creare uno scenario, un framework narrativo che incide sul nostro ambiente culturale e cognitivo.
La ricerca ha trovato che presentando le notizie con una forte interazione (in definitiva, dal vivo) la possibilità di far cambiare idea anche ai meno informati, ai più insicuri e ai più restii è molto alta.
Ma come si può avere tempo e modo di interagire dal vivo con un’intera opinione pubblica?
Le news verificate quindi non hanno grandi possibilità di far cambiare opinione perché arrivano attraverso mediazioni (i media appunto) che allo stesso tempo lavorano giorno e notte per costruire un modello di convinzioni spesso molto differente.
Si potrebbe dire, semplificando, che contribuisce di più a creare opinione un programma periodico e continuo nel tempo come il Grande Fratello che il TG quotidiano, pur non occupandosi il primo di alcuna notizia.

Una via d’uscita possibile sarebbe quella di associare un costo in termini di reputazione alle fonti delle notizie e quindi alle proprie convinzioni.
Un mezzo di informazione che continua a diffondere notizie non verificate perderebbe la propria credibilità se ci fosse un sistema sociale di “gradimento” condiviso.
Così come se continuiamo a sostenere opinioni smentite da fatti verificati la nostra reputazione ne sarebbe colpita, socialmente.
Purtroppo con i mass-media questo non avviene: siamo tutti soli davanti alla TV, unici giudici di noi stessi e in relazione solo con quello che ci viene mostrato.
In realtà questo sistema sociale condiviso oggi esiste, su Internet.
I Social Media rappresentano questo contesto condiviso in cui le persone vengono di nuovo connesse tra loro, ma su scala globale, e in cui la reputazione è un valore di nuovo attivo.
Le informazioni filtrate attraverso i Social Media possono essere più precise e più approfondite perché non c’è un direttore centrale che le valuta e ne detiene il controllo ma tutto è affidato a una rete di reti in cui la reputazione è dinamica, e conta.
Inoltre grazie alla tecnologia l’interazione può essere molto intensa, personalizzata e in alcuni casi avvicinarsi all’esperienza dal vivo.
I Social Media diventano quindi un contesto in cui si possono superare gli ostacoli della corretta informazione sull’influenza dell’opinione pubblica, in cui si può formare un’opinione pubblica e rappresentano uno strumento importante per la democrazia e per la diffusione delle idee.


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