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La domanda dell’anno (appena passato) è stata sicuramente:
esiste il web 2.0?
e se esiste come si può definire?
Per poter cercare di dare una risposta devo prima passare attraverso le due tesi principali che si sono formate, quella di Tim Berners-Lee (TBL) direttore del W3C – e inventore del World Wide Web – e quella di Tim O’Reilly (TO).
Il primo in sintesi afferma che il web 2.0 non esiste in sè.
E’ una formula inventata dagli esperti di marketing per ricominciare a vendere, per creare una nuova bolla, ma in realtà tutto quello che si fa col cosiddetto web 2.0 si faceva anche col cosiddetto web 1.0
A partire dalla possibilità data agli utenti di essere protagonisti attivi; il web 2.0 è solo uno sviluppo tecnico di tutto ciò.
Il vero futuro, il vero livello successivo è il web semantico quando il world-wide-web sarà supportato da dati “semanticamente validi”¬ù ed elaborato da “agenti”¬ù intelligenti.
E’ il punto di vista, logico, di altissimo livello di uno scienziato, di qualcuno che immagina creativamente il futuro prossimo.
TO invece contesta la visione di TBL (spuriata naturalmente dai soliti speculatori di breve periodo, quelli che io chiamerei i venditori di fumo) elencando tutti gli elementi che caratterizzano il web 2.0 e che lo rendono radicalmente diverso dal web 1.0
A partire dal passaggio (temporale) dal prodotto software al servizio web, dal sito personale al blog con i feed RSS fino ad arrivare al software indipendente dal singolo PC ma esteso a una sorta di intelligenza distribuita, attraverso la piattaforma web, immaginando dispositivi futuri, di ogni tipo, non più solo utilizzatori di dati ma produttori e consumatori degli stessi.
La sua è una visione più tecnica, quasi ICT-manageriale, più di corto raggio rispetto a quella di TBL ma non per questo meno vera.
Le due tesi si confrontano su prospettive e campi diversi ed hanno le loro buone dosi di ragione.
La cosa curiosa è che entrambi parlando del futuro mettono l’accento sui dati e su un loro ruolo “intelligente”¬ù rispetto al passato.
Sono forse arrivati alla stessa conclusione per vie diverse?
Ad ogni modo questo non risolve il problema attuale dell’esistenza e della definizione del web 2.0, anzi se possibile lo accentua, perché sarebbe arduo affermare che uno dei due possa avere torto.
Eppure in questo quadro manca un elemento forte: gli utenti; noi.
Presi eccessivamente da una visione innovation-centered l’uno e technological-centered l’altro ci si è dimenticati della visione user-centered relegando il ruolo degli utenti ad un elemento, tra gli altri, a supporto ora della innovazione pura (come il web semantico) ora della tecnologia.
E invece la user experience è la vera killer application di questa fase del web.
Basta questo piccolo cambio di prospettiva per vedere come la tecnologia e le innovazioni in questi anni si siano modellati sulle esigenze organiche degli utenti fino a generare l’insieme di caratteristiche che noi chiamiamo web 2.0
Da questo punto di vista ha ragione TBL a dire che non c’è differenza tra 1.0 e 2.0: entrambi hanno il bisogno vitale dei loro utenti.
Cosa sarebbe stato un desktop software per es. Netscape senza i suoi utenti?
Un’applicazione inutile.
Cosa sarebbe Google senza i suoi utenti?
Qualche server che consuma energia elettrica.
Entrambi hanno dovuto capirne l’importanza e così i primi, che pure avevano il vantaggio di ereditare un mondo (quello reale) in cui potevano “fidelizzare”¬ù fortemente l’utente, hanno tentato di utilizzare la usability engineering ma sono falliti ugualmente proprio a causa della loro eccessiva rigidità.
I secondi, osservate le esperienze passate, hanno devoluto al massimo agli utenti, hanno alleggerito, utilizzato la user experience moderna, delocalizzato, aperto, distribuito, collaborato.
Questo ha concesso finalmente una sorta di potere agli utenti che hanno ri-modellato il web proponendosi come agenti attivi principali e sfuggendo al controllo degli stessi Big.
Se il web 1.0 era l’era delle start-up il web 2.0 è l’era degli utenti.
Così ogni elemento attribuito alla tecnologia web 2.0 può essere in realtà visto come una soluzione a una esigenza di user experience.
AJAX: realizza l’esigenza di mantenere sempre visibile lo stato del sistema.
Basta CGI, chiamate POST o GET, tempi di refresh, infinite attese, dubbi (“avrò cliccato bene? sta funzionando?”).
Possiamo avere una interazione immediata con l’interfaccia e vedere subito cosa succede.
Per es. provate con i commenti a questo post.
E poi immaginate che differenza di user experience un acquisto online fatto nel web 1.0 e uno con AJAX.
Pensate che più della metà dei carrelli sul web veniva abbandonata per “stress”¬ù (da attesa o confusione sullo stato della richiesta) e calcolate come questo si traduca immediatamente in soldi.
RSS e aggregatori: sono gli shortcuts del web 2.0, gli acceleratori per gli utenti più assidui che permettono di risparmiare tempo nelle azioni ripetitive (invece di passare in rassegna 100 blog interessanti uso gli RSS)
Flickr, Del.icio.us ecc.: risolvono l’esigenza di una maggiore “corrispondenza”¬ù col mondo reale, con concetti familiari e modelli mentali che usiamo nella realtà dove gli oggetti possono essere mostrati, nascosti, aggregati, catalogati con i nostri nomi personalizzati (folksonomy) nei nostri scaffali, commentati, scambiati.
Sono praticamente “liberi” dai vincoli del rigido web 1.0
E così via.
Persino l’ironia sulla classica grafica da web 2.0 (con gli angoli smussati, i colori pastello ecc.) ha una sua collocazione nella visione user-centered: in effetti è una grafica minimale che da un lato cerca di non affollare l’esperienza dell’utente con informazioni non essenziali e dall’altro aumenta la visibilità e la chiarezza.
Alla fine di questo ragionamento viene da pensare che la risposta al dubbio iniziale è stata probabilmente sotto i nostri occhi per un mese circa (con annesse discussioni) sulla copertina di “personaggio dell’anno” di Time: YOU.
Dal web 1.0 allo user 2.0
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