La lunga storia di Apple corre accanto alle vicende dell’elettronica di consumo fin dagli anni ’70.
Ma è negli ultimi dieci anni che il suo marchio e i suoi prodotti sono diventati quasi leggendari agli occhi dei consumatori, dividendo gli appassionati.
Pur senza detenere quote di mercato schiaccianti, la crescita dei sui profitti e del suo valore in Borsa non hanno conosciuto sosta, neanche nei momenti di crisi planetaria.
I marchi dei suoi prodotti sono diventati nomi comuni usati per distinguere determinate categorie merceologiche, come solo la Sony seppe fare negli anni ’70 con il Walkman: l’iPod su tutti.
Il segreto del suo successo è spesso attribuito a espedienti ben precisi.
Prima di tutto una oculatissima strategia di marketing che avrebbe sopravanzato tutti i concorrenti.
Ma in effetti sembra poco plausibile che colossi dell’hardware e del software, ben più grandi, come IBM, Microsoft, Dell siano stati sconfitti a questo livello.
Se esistesse una formula magica del marketing per piacere così tanto ai consumatori di sicuro loro l’avrebbero già scoperta.
In realtà Apple non spende in marketing più degli altri né ha una specifica divisione particolarmente sovradimensionata.
Fa pubblicità in tv, questo sì, e la sua campagna “Get a Mac” è diventata popolarissima, un vero caso virale su Internet, eppure spende in spot molto meno dei concorrenti.
I suoi prodotti compaiono in moltissimi film, soprattutto hollywoodiani, ma Apple non dichiara alcun investimento in product placement.
Il suo marchio e quello dei suoi prodotti è in testa alle classifiche dei termini più ricercati su Internet e argomento prediletto sui Social Media eppure i suoi investimenti in questo sono praticamente nulli.
Il secondo fattore tirato in ballo è la qualità dei suoi prodotti, la cura con cui sono realizzati e lo studio della user experience che rivelano.
Apple è stata pioniera nell’approccio di progettazione orientato all’utente e ha sempre annoverato tra le sue fila alcuni dei più grandi esperti in materia (da Bruce Tognazzini a Jef Raskin in poi).
I suoi prodotti rappresentano spesso effettivamente lo stato dell’arte commerciale per ergonomia e user experience.
Ma questo solo perché il resto dell’offerta di mercato appare nettamente peggiore in questo campo agli occhi dei consumatori.
Non a caso nella sua celebre campagna Apple confronta “Mac” e “Pc”: accanto al tipo grassottello e imbranato anche un mingherlino saputello fa una bellissima figura.
Esistono inoltre molte verifiche pratiche che mostrano come i suoi prodotti impieghino gli stessi componenti dei concorrenti.
La differenza la fa la scelta strategica commerciale di offrire un buon hardware con un buon software, in pochissime configurazioni, predeterminate, che da un lato placano l’ansia della scelta tecnica da parte dei clienti e dall’altro permettono di controllare di più il risultato, rendendolo mediamente più affidabile.
Si potrebbe dire che Steve Jobs, il suo scaltro fondatore, abbia fatto proprio il motto di Mies van der Rohe “less is more” ma in realtà Apple è probabilmente l’azienda che interpreta meglio l’era della rivoluzione digitale.
L’intuizione di inizio secolo che il mercato si possa sostenere sulla propria “coda lunga” e non più solo sui “grandi successi” è ormai una realtà visibile ma siamo già andati oltre con la frantumazione del mercato globale in milioni di mondi interconnessi, di pari passo con i nuovi modi in cui è possibile comunicare e relazionarsi.
Siamo passati dal mercato di massa alle nicchie di massa e in questo Steve Jobs dimostra di aver avuto l’intuizione prima degli altri (o di essere stato molto fortunato).
Ogni prodotto Apple definisce una nuova nicchia, anzi è progettato appositamente per definirla, e nella propria nicchia non si può che essere leader, con i concorrenti meno avveduti destinati a inseguire per sempre.
Il segreto del successo di Apple è una strategia di mercato perfettamente adeguata al modo in cui noi oggi comunichiamo e consumiamo.
Se fino a vent’anni fa il sogno recondito di ogni corporation era il monopolio oggi è la moltiplicazione dei monopoli.
Ecco perché l’iMac è un avveniristico monitor, così diverso dagli altri scatoloni ingombranti, l’iPod è privo di ogni funzione, l’iPhone è un telefono senza interfaccia, ma con mille interfacce, l’iPad è qualcosa che non si era mai visto in un negozio.
Questa strategia però ha dei limiti che potrebbero definire il futuro dell’elettronica di consumo.
Innanzitutto per essere una nicchia serve la controparte di grande diffusione.
Come l’ombra ha bisogno della luce, Apple vive del continuo confronto con un grande leader nella mente dei consumatori: Microsoft per i personal computer, Nokia per i cellulari, le grandi major per la musica o la tv e si affaccia Google per il mobile e i nuovi servizi.
Il continuo successo delle nicchie erode il il leader globale, che succede se questo dovesse indebolirsi o crollare?
E se mediante mille nicchie interconnesse si diventa leader globali la strategia continuerà a funzionare?
Fino a quante nicchie di massa si possono creare prima di innescare questi meccanismi?
Ma soprattutto, cosa succede se arriva un concorrente con la stessa strategia ma con una qualità e un appeal tecnologico superiore?
Sono domande che non hanno ancora risposta anche perché investono variabili molto diverse tra loro.
Per adesso la strategia è lontana dalla saturazione, e anzi sembra in grado di far avverare una nuova era di dispositivi specializzati che sostituiscono il vecchio e unico personal computer multiuso.
Il traguardo del computer che diventa sempre più invisibile nelle nostre vite lasciando spazio ai servizi non sembra così lontano.
Ma a quel punto probabilmente cambierà tutto di nuovo.
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