2014 e Twitter, l’anno della partecipazione.

Alla fine del 2012 avevo scritto: il meglio deve ancora venire.
In effetti il meglio è iniziato ad arrivare nel 2013 e in prospettiva il 2012 si è rivelato un anno di transizione.
Finalmente possiamo iniziare a dare una risposta alla domanda che ci facevamo di frequente all’inizio di quel lontano 2007 con altri amici: sì ok, ma Twitter a cosa serve?

Abbiamo scoperto col tempo che non serve a gonfiare il proprio ego: tutto ciò che si gonfia può sgonfiarsi molto velocemente, a volte con un botto.
Non serve neanche a costruire meccanicamente reputazioni personali da rivendersi: non funziona, soprattutto se manca la sostanza, prima o poi emerge il bluff e la Rete è un ecosistema che scambia informazioni, alla fine ti lascia solo con la tua illusione.
Non serve ad ammantarsi di innovazione, di novità, di “per la prima volta”, in alcun settore: le persone, in Rete, sono molto più intelligenti di quello che pensiamo e non ci cascano più.
Non serve a scatenare rivoluzioni, semmai le catalizza e le supporta.
Non serve a fare giornalismo se dietro non c’è un vero intento giornalistico ma altro.
Non serve a persuadere qualcuno: pensare che martellare con un messaggio o promuoverlo ovunque possa avere un effetto persuasivo è semplicistico e ormai smentito dai fatti.

In tutto questo la cantilena per cui Twitter è irrilevante perché contiene una minoranza (quantitativamente è vero, ma è lo stesso che si diceva di Internet negli anni ’90…) o addirittura un’elite, è ormai archiviabile.
Twitter ha raggiunto un numero sufficiente di utenti per diventare molto rilevante, soprattutto perché è punto d’osservazione, e persino fonte, per i mass-media stessi (quelli che raggiungono centinaia di milioni di persone a volta) in maniera inarrestabile.
Twitter è diventato forse uno dei contesti (non me lo definite “media” o “mezzo”, come fosse analogo a TV, radio ecc., per favore) più influenti nella comunicazione mondiale.

A cosa serve allora?
In questo il 2013 ci ha dato un’indicazione preziosa: serve ad ascoltare, non a pubblicare.
Serve a conversare, con grande attenzione per l’altro.
E questo non solo a livello individuale ma anche collettivo, grazie alle analisi.
Insomma è definitivamente inutile e controproducente tentare di imporvi un messaggio ma è fantastico per ascoltare, capire, raccogliere, aggregare.

In questo il 2014 ci riserverà grandi sorprese: ci saranno novità molto interessanti, ci sarà più attenzione alla partecipazione.
Si illudono, invece, quelli che credono nella guerriglia, nell’insulto, nell’aggressione, nella provocazione, perché la Rete è un ecosistema che si adatta in fretta e questa strada porta all’isolamento e alla disgregazione dei gruppi che lo praticano (destino tipico di quelle community online ormai deviate e sterili).

Questo si intreccia probabilmente con il momento storico del nostro Paese.
Il cinismo fine a se stesso, il giudizio o la soluzione facile (o meglio facilona), lo stare alla finestra, iniziano a non pagare più anzi a diventare un peso per tutti.
È il momento di diventare costruttivi e concreti, di guardare due passi avanti, di usare tutto questo per un fine collettivo, di provarci.
Tutto il resto si perderà velocemente e tristemente come lacrime nella pioggia.
Ne vale la pena, no?
2014, daje.


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