Dopo il risultato delle Primarie del Centrosinistra la luna di miele tra i Social Media e la politica in Italia sembra già essere finita.
Il candidato con meno appeal online, stando ai parametri più quantitativi, non solo vince a man bassa (60 a 40) ma in realtà secondo i sondaggi non è mai stato in discussione.
Ora c’è chi si affretta a dire che non solo la comunicazione online non sposta voti ma si dubita che possa avere qualche presa sul “Paese reale”, a giudicare dalla fetta di elettorato considerato storicamente più evoluto dal punto di vista dell’uso delle tecnologie.
Tutto era iniziato, in Italia, col referendum su acqua e nucleare a giugno 2011, snobbato come tante altre volte dai dirigenti dei partiti e dai mass-media ma giunto al successo anche grazie al passaparola online.
L’evento aveva fatto sognare i più su come con semplici azioni di comunicazione online (la conversazione su Twitter e su Facebook, il lancio di meme virali, gli hashtag, la raccolta di fan e follower) si potesse fare politica o quantomeno influenzare gli elettori.
Evidentemente è più complicato di così, a partire dal fatto che l’Italia è spaccata decisamente in due tra chi usa la Rete con continuità e tra chi si rifiuta letteralmente di farne uso (ogni anno verso fine dicembre l’ISTAT ce ne offre una visione impietosa).
Certamente non è possibile fare un’analogia tra il nostro Paese e come viene usata la Rete per innescare cambiamenti politici nei Paesi Arabi né sull’uso evoluto per la rielezione di Obama o per l’organizzazione delle proteste di Occupy Wall Street, eppure l’esempio della crescita del movimento di Grillo da qualche anno a questa parte segnala che c’è qualcosa di più e che la presenza fisica sul territorio ha un ruolo determinante.
Queste Primarie invece hanno accarezzato l’idea che i Social Media potessero essere la nuova TV, ormai vero feticcio della cultura italiana, in grado di costruire facilmente un frame narrativo in grado di influenzare gli elettori.
La TV si è certamente attivata creando per la prima volta dei confronti in diretta, tanto seguiti quanto confusi e irrisolti, su cui si è innestata una conversazione online mai vista prima in Italia.
Emanuela Zaccone e Massimiliano Spaziani hanno analizzato da vicino la campagna online fino al primo turno delle Primarie e quello che ne viene fuori è un quadro poco correlato ai risultati delle urne.
Le conversazioni appaiono trainate dagli eventi televisivi più che dal dibattito o dalle dichiarazioni dei politici.
Di fatto più che a un evento politico abbiamo assistito a un evento di Social-TV in cui gli spettatori commentano in tempo reale sui Social Media ciò che guardano in TV usando i loro smartphone o tablet come un vero e proprio secondo schermo (second screen viene definito tecnicamente) in contemporanea.
Il resto sono state conversazioni spinte dai team dei candidati e dai loro sostenitori
Questo quadro è confermato dalle analisi dei dati di Vincenzo Cosenza (blogmeter.it) sia per il primo turno che per il secondo, in cui rileva addirittura un record assoluto per l’interazione online in Italia durante il confronto TV su RaiUno.
Probabilmente la politica attiva è un contesto ancora lontano.
È sempre più chiaro come la possibilità di influenzare le opinioni, in politica così come nel marketing, da parte dei Social Media sia un risultato di un processo complesso e non direttamente manovrabile.
Allo stesso tempo è evidente come la comparsa dei Social Media e di Internet abbia modificato per sempre la comunicazione di massa e anche i media tradizionali non siano più affrontabili solo con gli stessi strumenti di sempre.
Siamo in una terra di mezzo in cui probabilmente il comunicatore a cui i nostri politici affidano le loro strategie di consenso non può essere più lo stesso di prima ma stiamo ancora costruendo nuovi strumenti, metriche e modelli.
Da questo punto di vista lo stato dell’arte è l’uso di Internet e Social Media anche per raccogliere e usare dati da parte dei candidati per raggiungere in maniera capillare gli elettori e attivarli, come ha fatto la campagna di Obama 2012.
È un livello che presuppone una grande disponibilità di dati (quelli che vengono definiti Big Data) e una forte digitalizzazione della società su cui costruire algoritmi e modelli.
Vi è però un altro approccio, ancora più sperimentale, in grado di usare i Social Media in maniera predittiva sui risultati elettorali.
È quello affrontato in una ricerca del progetto Social Network Studies Italia coordinato da Giovanni Boccia Artieri.
La ricerca ha tentato di creare proprio un modello previsionale delle Primarie basato sui sondaggi e sulle interazioni online ottenendo un risultato così buono da essere in media più preciso dei sondaggi stessi.
Le differenze dello scarto, però, per ogni singolo candidato (si veda la differenza tra Vendola, Renzi e Bersani) fa concludere che le differenze tra strategie comunicative dei candidati sono tali che non basta un solo modello per avere una migliore precisione.
È una conseguenza coerente con l’osservazione di quanto sia complessa la realtà comunicativa dei Social Media, così lontana dall’audience televisiva, costituita da sfere pubbliche connesse a volte con forti tratti identitari e indipendenti.
In effetti ogni sfera (o network) online può avere una struttura radicalmente diversa.
In altre parole ogni gruppo online può avere uno o più leader o moltissimi, e lo stesso per altri ruoli (come gli hub), e persone con una reputazione alta in un gruppo potrebbero altrove averla bassa o negativa o addirittura essere sconosciuti.
È il punto di vista che permette di spiegare la nascita e la crescita del network di Beppe Grillo online.
Quindi può essere interessante studiare le conformazioni dei diversi network e le interconnessioni tra loro.
In questo senso la ricerca Truthy dell’Università dell’Indiana fornisce una conferma abbastanza chiara.
Il progetto, attivo già da qualche anno, si prefigge di analizzare i meme che si sviluppano su Twitter, in particolare in politica, raccogliendo e analizzando i dati dei tweet e costruendo dei grafi della comunicazione che vi si svolge.
Interessante è il confronto tra l’hashtag più popolare utilizzato dagli elettori democratici #p2 e quello dei repubblicani #tcot.
Il primo ha questa conformazione:
Il secondo la seguente:
Si può notare come il primo abbia centri più diffusi e distanti mentre il secondo sia più accentrato.
La centralità è tipico delle leadership ma in questo caso si sta osservando gli elettori di un’area politica e non i loro leader.
L’impressione che ne consegue è di trovarci di fronte a due diversi modelli di comunicazione online.
È come se gli elettori repubblicani e democratici comunicassero in maniera differente su Twitter.
Questa considerazione può essere estesa ad altri ambiti e persino all’Italia.
La conclusione è che un modello previsionale potrebbe essere esteso considerando quantomeno i diversi modelli di comunicazione di ciascun network associato ai candidati.
Questi modelli potrebbero essere algoritmi in grado di valutare gli eventi, correggere i sondaggi e soprattutto rilevare istantaneamente la reazione degli elettori a determinate proposte o idee politiche.
Una volta adeguati i parametri all’insieme degli italiani online, rispetto a quelli non connessi a Internet, si avrebbe l’indubbio vantaggio rispetto ai sondaggi di non influenzare il campione ma limitarsi all’osservazione e all’azione politica.
Ecco che diventa praticamente inutile online (se non controproducente) inseguire la chimera di influenzare il voto invece di, più proficuamente, adeguare o innovare la proposta elettorale rispetto ai propri elettori e alla base elettorale in generale.
Naturalmente questo meccanismo può essere esteso al marketing e non c’è dubbio che questo versante, accanto a quello dell’analisi dei dati, costituirà una nuova demografia su cui si baseranno i futuri modelli di intervento.
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