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Abbiamo parlato per così tanto tempo di come il giornalismo in Italia dovesse svegliarsi per sopravvivere e adesso che si muove qualcosa rischiamo di non accorgercene.
Le due grandi novità di questa nuova stagione sono la nascita di Pubblico e lo sbarco dell’Huffington Post in Italia.
Il primo è una scommessa davvero coraggiosa di Luca Telese: oggi che le redazioni chiudono, fare un quotidiano anche di carta.
L’esperienza travolgente a Il Fatto gli ha mostrato che si può fare e partendo con 750mila euro è già nero su bianco, con un sito web aggiornato e un redazione agguerrita.
Eppure le critiche non sono mancate, soprattutto sull’aspetto grafico e sull’opportunità di incentrarsi sulla carta.
Ma come, il giornalismo si muove, cercando di aggiornare i vecchi paradigmi e viene criticato?
Bisognerebbe giudicarlo per i contenuti e per la cura online, che è già molto buona rispetto ai concorrenti tradizionali e apprezzabile (a dispetto del fango lanciato da alcuni) come nel caso della curation delle manifestazioni #25S in Spagna.
Ho conosciuto Luca Telese l’anno scorso per un’intervista e mi è sembrato ben consapevole dei cambiamenti in corso nel mondo dell’informazione, in cerca di un nuovo approccio.
L’Huffington Post Italia aveva già iniziato a fare parlare di sè prima di esordire, per la scelta del Gruppo L’Espresso come partner e quella di Lucia Annunziata come direttore.
Eppure l’Annunziata è giornalista di grande esperienza, già direttore del Tg3, parla benissimo inglese, ha una visione ampia.
Chi avrebbe dovuto guidare un progetto editoriale che, pur essendo solo online, è complesso e rilevante? Un “blogger”? Un direttore “tecnico”? Non facciamoci prendere dalla sindrome di Monti…
Peraltro Lucia Annunziata è una giornalista che oltre all’esperienza ci mette la passione, fattore indispensabile quando devi costruire qualcosa che non c’è e creare uno stile di guida.
L’ho incontrata, insieme ad Arianna Huffington, e alle critiche riguardo la sua esperienza tecnologica risponde stupita: non snobbo Twitter (o la Rete), questo è il mio stile, non amo l’iper-presenzialismo.
“Ognuno ha i propri gusti, chi ha detto che si debba per forza scrivere su Twitter? però lo leggo quotidianamente.”
Ma il tema che ha scatenato ancora di più le critiche online è quello, annoso, dello sfruttamento gratuito dei blogger.
Arianna Huffington cerca di chiarire con un paragone: tutti si chiedono perché scrivere gratis ma perché nessuno si chiede “perché guardare la tv gratis?”.
Sembra un sofisma ma rivela una visione ben articolata della Rete.
Essere blogger è il livello minimo di appartenenza al mondo digitale partecipativo, equivale allo spettatore per la TV.
È un ruolo attivo ma questo non cambia la sua posizione nel panorama: non è un mestiere (non più, per l’amor di Dio), è una condizione abilitante.
Non esiste il mestiere di blogger, esistono persone che scrivono un blog: professionisti, giornalisti, politici, studenti, attivisti.
Così come non è un mestiere essere un cittadino ma un condizione nelle nostre vite.
Essere blogger, in senso ampio e non solo su web, è sempre più essere cittadino digitale.
Altro discorso è il lavoro retribuito dei giornalisti, che dovrebbe essere duro e rigoroso.
Per Arianna l’Huffington Post è una piattaforma di visibilità per chi scrive un blog che crea coinvolgimento, cioè una vera community.
È questa la proposta, opinabile a seconda dei punti di vista ma non fuori dal mondo.
Così quando l’Annunziata cita l’obiettivo di ottenere 600 blogger, non parla di fare un sito web con contenuti gratis (come molti ritengono) ma di una comunità di 600 persone che hanno l’opportunità di esprimersi direttamente sul proprio sito informativo preferito.
Anche l’argomento relativo al traffico in più, traducibile in ricavi pubblicitari, generato da questi blog è fragile, in fin dei conti questo è il modo da parte dei lettori/blogger di pagare il quotidiano e i suoi giornalisti.
Se non si capisce questo approccio è difficile poi discutere nel merito di contenuti e prospettive senza scontrarsi ideologicamente.
È nuovo tutto questo? Secondo me è la domanda sbagliata.
Fare editoria online oggi significa cercare le strade per la piena sostenibilità e contenuti di adeguata qualità che corrispondano ai lettori, a prescindere dalla novità tecnica e tecnologica.
Accanto alla sperimentazione ci devono pur essere solide basi, in una sapiente miscela che favorisca l’evoluzione continua, costante e rapida.
Quelli di Pubblico e dell’Huffington Post Italia sono evoluzioni di modelli tradizionali o modelli recenti che stanno funzionando, vale la pena dargli fiducia anche in Italia e vedere dove riescono ad arrivare.
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