È curioso come l’approccio alla mobilità urbana in Italia sia sempre stato affrontato solo dal punto di vista degli utenti del trasporto.
Dal boom economico degli anni ’60 abbiamo ereditato una visione per cui l’automobile è il mezzo ¬†preferenziale per tutti gli italiani e il dominatore incontrastato delle strade (una volta condivise con biciclette e cavalli).
La politica “verde” degli anni ’90 non si è preoccupata di riequilibrare il rapporto tra trasporto pubblico e privato ma ha semplicemente potenziato il primo, per quanto potesse, senza intaccare il secondo: in questo modo le scelte degli italiani non sono cambiate di una virgola, le strade sono fatte per le automobili private e vengono usate in questo modo.
Tutto questo ha provocato una situazione grave dal punto di vista dell’inquinamento, del traffico e della qualità della vita.
Una città come Roma, con il suo patrimonio artistico, è usata come Los Angeles e senza le enormi highway si avvia a diventare caotica come il Cairo, con gravi danni per tutti.
Una mentalità per cui le esigenze di trasporto di base sono demandate al privato, e il pubblico viene visto come un surplus, provoca guasti ancora più grandi, permette per esempio la cementificazione selvaggia del territorio senza intervento progettuale dell’amministrazione pubblica, i cui servizi appaiono superflui.
Ecco perché in Germania prima di costruire un nuovo quartiere appare indispensabile portare tutti i servizi pubblici, e quindi parte del controllo sullo sviluppo del territorio rimane allo Stato, mentre in Italia si costruiscono enormi agglomerati demandando inizialmente il trasporto all’iniziativa privata in attesa che l’amministrazione pubblica intervenga, senza controllo sull’uso del territorio, mettendoci poi nulla più che una pezza.
È possibile intaccare questo modello? Continue reading
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