Lo scrivo subito così ci togliamo il pensiero, il giornalismo non morirà, e le novità che stanno emergendo in questi anni non si contrappongono frontalmente a questa bellissima professione.
Ci troviamo, invece, di fronte a notevoli opportunità di espandere il raggio d’azione del giornalismo stesso senza perdere il contatto con la realtà.
Insomma non è un cambiamento che dovrebbe spaventare, nonostante metta in discussione le regole e le gerarchie che si sono stratificate fino ad oggi.
Al contrario, probabilmente si tratta di un ritorno all’essenza del giornalismo.
Vorrei partire da un esempio pratico.
Lo scorso giugno è accaduto in Iran qualcosa di dirompente.
E non mi riferisco al forte dissenso che ha mostrato crepe ¬†in una rigida repubblica islamica bensì al fatto che la gente che protestava in piazza, in maggior parte giovani e abituati a usare i cellulari e internet, ha utilizzato i social media (la nuova frontiera del web fatta di blog, Twitter, Facebook, Youtube e molto altro), per uscire dalla censura e portare notizie al resto del mondo, in cerca di aiuto.
Stavo raccogliendo su internet informazioni sulla situazione post elettorale iraniana per farne un articolo e mi sono trovato di fronte prima alle avvisaglie e poi a un susseguirsi infinito di eventi imprevedibili.
Man mano che affinavo le ricerche, individuavo gli eventi, i protagonisti, le prove fotografiche e video (sul celebre Youtube) sui social network mi rendevo conto di avere in mano fatti a cui non corrispondeva alcuna notizia sui broadcaster nazionali e internazioni né sulle agenzie di stampa.
Decisi di raccoglierle e pubblicarle sui social media stessi, raccontando in prima persona cosa osservavo e ben presto diventò una fonte popolare in grado di mostrare in tempo reale, e con una precisione che si dimostrava elevata, gli avvenimenti in corso.
La stampa era bloccata, il classico meccanismo di formazione della notizia stava fallendo perché gli inviati erano stati espulsi, i pochi rimasti erano confinati in albergo e persino le comunicazioni satellitari erano disturbate.
Non dovrebbe sorprendere, l’informazione tradizionale è facilmente individuabile e controllabile, soprattutto sotto i regimi; è ormai prevedibile come un centravanti a fine carriera di cui tutti conoscono la solita finta.
Questo non vuol dire che senza il web non avremmo mai avuto notizie degli eventi, semmai le avremmo avute con molto ritardo.
Invece ora, dopo questa esperienza, mi trovo tra le mani anche una rete di testimoni diretti, affidabili, sulle vicende iraniane, in grado di farmi arrivare in tempo reale ogni minima perturbazione.
E se qualcuno facesse la stessa cosa per ogni area del mondo?
Potrei continuare citando l’ammaraggio dell’Airbus della US Airways nel fiume Hudson, a Manhattan, come caso di avvenimento diffuso online (e con gran mole di materiali) prima della notizia: la vicenda si è mediaticamente conclusa prima che passasse sui telegiornali americani, un record.
Oppure l’utilizzo che ne sta facendo Obama come metodo per parlare direttamente alla gente, invece di passare per i massmedia, come nel suo primo viaggio in Africa.
In Cina, durante le rivolte nello Xinjiang, è stato – di nuovo – un modo per far uscire immagini e informazioni, nonostante la stretta censura cinese anche su internet; in seguito, a crisi finita, molte testate hanno inviato i loro corrispondenti che hanno potuto scrivere eccellenti articoli sui fatti che già conoscevamo attraverso la Rete.
Infine è accaduto anche in Italia, con la tragedia di Viareggio e la gran quantità di fatti e informazioni online che sono arrivati alle persone prima che si formassero le notizie.
Potrei continuare ancora, e sappiamo che questo cambiamento è appena agli inizi.
Il punto importante, però, è che il lavoro giornalistico non è escluso da questo percorso evolutivo, al contrario, sta solo cambiando il modo in cui farlo.
D‚Äôora in poi osserveremo il fatto e la notizia in due momenti sempre più separati tra loro.
Il fatto può essere ottenuto in molti modi, non solo con i classici meccanismi istituzionali, e la sua affidabilità non è più legata intrinsecamente all’autorevolezza della singola fonte ma a un meccanismo molto diverso che può coinvolgere una rete di relazioni tra persone e testimoni, i social media, internet.
In questo modo si possono raggiungere livelli di affidabilità e rapidità pari a quelli di un inviato in diretta sul posto, e sappiamo quanto sia ormai difficile avere inviati ovunque, anche in previsione di¬†una crisi.
La notizia, invece, rimane compito di un lavoro giornalistico.
Questo permette anche al giornalista di tornare a concentrarsi meglio sui suoi obiettivi istituzionali: raccontare la realtà, approfondire, capire le cause, cercare di prevedere, scavare.
Un compito che in un mondo sempre più complesso sta diventando molto difficile per il vecchio giornalismo, perso a fronteggiare le manipolazioni e a¬†rincorrere le innovazioni con sempre maggiore velocità.
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