Il primo incontro di Mutazioni Digitali – alla FNAC di Roma e su CannocchialeTv – è stato molto interessante nel suo far venire alla luce differenti Weltanschauung su aree della comunicazione che dovrebbero essere alquanto vicine.
Probabilmente, nella sua formula inedita per argomenti di questo tipo, è risultato più istruttivo di qualsiasi divulgazione didascalica.
Quando le differenze sono così insolitamente marcate le riflessioni si arricchiscono ma una domanda incalza: come è possibile che la realtà sia vista in maniera così diversa da operatori del settore che sembrano contigui?
Tra i tanti temi toccati mi incuriosisce particolarmente la distanza tra chi vive quotidianamente l’evoluzione della comunicazione causata dalla rivoluzione della Coda Lunga e chi fa oggi giornalismo professionista sui mainstream.
Di fronte agli stimoli al cambiamento epocale dei primi i secondi rispondono con i loro classici modelli come se tutto il mondo ancora oggi possa essere spiegato sempre dalle stesse immutabili regole.
Se di fronte al fenomeno inarrestabile del citizen journalism i professionisti della comunicazione rispondono mettendone in dubbio la professionalità o sottolineando il carattere hobbystico, in una battuta la mancanza del “tesserino”, vuol dire che c’è qualcosa che non torna, che il cambiamento non si sta svolgendo in maniera morbida e diffusiva, come cercano di farci credere alcuni, ma a strappi e con notevoli resistenze.
Questo atteggiamento danneggia tutti, perché non esiste una lotta del nuovo contro il vecchio da cui trarre un vincitore ma semmai una necessità impellente di capire il presente e immaginare il futuro.
La battuta del tesserino è rivelatrice perché mostra come si cerchi di comprendere il fenomeno del citizen journalism pensando (o meglio temendo) che “tutti possono essere giornalisti”.
In realtà la formazione della notizia sta cambiando drasticamente, passando per i non professionisti – non per questo meno importanti – e validandosi in modo completamente diverso dal passato, attraverso¬†la comunità.
In questo differente meccanismo non ha più importanza la qualità di chi raccoglie l’informazione ma la qualità dell’informazione stessa.
Rispondendo con un’altra battuta, si potrebbe dire che la notizia potrebbe essere anche raccolta da una webcam fissa installata su un robot, vogliamo dare il tesserino di giornalista anche al robot? (e questo accadrà davvero nella prossima fase di internet, chiamiamola web 3.0).
Quello che conta è la validazione della notizia stessa che non verrà fatta da un solo soggetto “autorizzato” (ma anche molto esposto ad essere influenzato e corrotto) ma da tutta la comunità.
In tutto questo il giornalista professionista non scompare!
Anzi a lui tocca l’interpretazione della notizia, il commento, l’inchiesta, il suo lavoro più tipico insomma, tutte cose che, a onor del vero, nel giornalismo italiano – per noti motivi – si sono ormai fortemente atrofizzate.
Tutto questo rappresenta un innegabile aumento della qualità complessiva, sia della notizia stessa sia dell’output giornalistico.
Ne è una riprova proprio un recente fatto che i mainstream indicano invece come fallimento del citizen journalism.
Un utente di iReport, sito di citizen journalism della CNN, diffonde una¬†falsa notizia su un presunto infarto a Steve Jobs che manda subito giù il titolo Apple.
La comunità si accorge molto presto dell’inconsistenza della notizia e avverte la CNN che toglie il contributo e sospende l’utente (al suo primo post, pare).
Allo stesso tempo la Apple smentisce tutto prontamente.
Fine dell’emergenza.
La bufala non viene validata e arriva già ampiamente sgonfia alla maggior parte del pubblico.
Il sistema funziona.
Cosa sarebbe successo invece se fosse avvenuto nei mainstream media (italiani, per dirne una)?
Quante notizie false (o costruite ad arte) campeggiano per giorni o mesi sulle pagine dei quotidiani italiani o nei tg televisivi?
Il secondo aspetto che mi incuriosisce molto è la mancanza di percezione di come voler continuare a confrontare la bontà o qualità del lavoro giornalistico con l’audience, l’auditel, le copie vendute ecc. sia davvero anacronistico.
La tv continua a perdere spettatori, i giornali lettori: il fenomeno della Coda Lunga è una rivoluzione culturale in atto in cui non ha più senso mettersi a calcolare quanta gente sia lì a guardarti, leggerti, ascoltarti in sincrono ma è molto più importante sapere di poter essere ritrovati, condivisi e fruiti.
E anche in questo caso non si tratta di una competizione con i mainstream, come molti pensano erroneamente, è il pubblico che sta chiedendo anche a loro di essere digitale come quasi ogni altro aspetto della nostra vita.
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Perfettamente d’accordo. L’informazione dovrebbe avere come cardini paradigmatici il pluralismo (sia di vedute che di mezzi) e la libera circolazione. Non si tratta di scalzare il vecchio sistema giornalistico o di delegittimare la notizia e la sua ufficialità rendendo tutti “cronisti” del reale a pari livello, si tratta di integrare e rendere intercomunicanti i vari modi di fare informazione.
Inoltre un’informazione strutturata “democraticamente” ha anche evidenti meccanismi di controllo endogeni e automatici: più voci “libere” diffondono ed elaborano la notizia, meno si incorrerà nel rischio della strumentalizzazione della stassa, e più ci si libererà del filtro percettivo e interpretativo del singolo.